30 dic 2009

L'importanza delle squadre B

Nel calcio italiano si fanno spesso tanti bei discorsi sui giovani provenienti dal vivaio, su loro utilizzo o meno e sullo spazio da dargli. La cosiddetta linea verde è infatti un ottimo modo per ottenere nuovi giocatori a basso costo e stipendio anche solo per completare la rosa. Sfruttare i giocatori nati e cresciuti nelle giovanili di casa è ecnomicamente un affare per il loro costo iniziale bassissimo, ma anche in prospettiva di vendita grazie a plusvalenze assicurate anche per giocatori valutati poco. Aiuta anche a sviluppare l'attaccamento alla maglia dei giocatori e l'affetto dei tifosi verso questi ragazzini che migliorano di partita in partita.
In Italia in passato le diverse squadre hanno di fatto ignorato le proprie giovanili, tranne rari esempi che comunque non sono rimasti a lungo nella società di origine. Negli ultimi anni vuoi per difficoltà economiche generali o specifiche, vuoi per necessità tecnica (vedasi la discesa in serie B della Juventus, o per giocatori di particolare qualità), vuoi per le nuove regole Uefa, vuoi per un miglioramento della cultura generale abbiamo visto diversi ragazzi esordire dalle giovanili, ed è sempre un piacere. Troviamo giocatori di spessore che soprattutto in prospettiva possono fare la fortuna dei loro club come Balotelli, Santon, Marchisio, andando qualche anno indietro anche Aquilani e De Rossi, ma anche ottimi giovani in grado di mettersi in luce in serie A (Andreolli, Bonucci, Galloppa) inseriti dalle loro società di origine in operazioni di mercato più "importanti", aiutando il bilancio e minimizzando l'esborso economico.

Per questo genere di strategia si fa spesso riferimento a grandi squadre estere che hanno una forte tradizione coi giovani. Il sommo esempio è ovviamente il Barcellona, ma anche Bayern Monaco, Manchester United, Arsenal. Tutte società in grado di valorizzare i proprio giovani, buttandoli nella mischia da fin da giovanissimi, senza le classiche paure nostrane di bruciare i talenti (che in anni passati portava a pochi fruttuosi prestiti nelle serie minori, che spesso finivano per far perdere i giocatori). Negli anni hanno sostituito anche campioni affermati con giovani di qualità (il caso più macroscopico, Vieirà-Fabregas), garantendosi una continuità tecnica importante.

C'è però da sottolineare un particolare, che solitamente viene ignorato. Gran parte di questi grandi team, hanno delle società affiliate che militano nelle serie minori, denominate appunto Barcellona B, Bayern Monaco B, Real Madrid B e così via. Vere e proprie squadre, impossibilitate a salire nella massima serie, in cui i giovani hanno il loro primo assaggio di calcio vero.
In Italia spesso si nota un ragazzo pagare il salto di qualità dalla primavera alla prima squadra, anche solo a livello fisico. Un giovane della cantera blaugrana prima di affacciarsi alla Liga accumula esperienza di calcio vero, quindi a parità di età si trova più preparato al calcio che conta, quello dei grandi, coi e contro i grandi. E' ovviamente anche un primo test per il ragazzo, che può farsi un'idea di cosa sia lo sport professionistico, rimanendo però in una società legatissima a quella di riferimento, che ha tutto interesse a farlo giocare senza troppe pressioni, perchè ha proprio la funzione di svezzare i giovani più talentuosi.

Un vantaggio competitivo non da poco.

24 dic 2009

Gli argentini vogliono Samuel

Chi deve affiancare Martin Demichelis nella difesa della Seleccion? E' questo il sondaggio proposto ai propri lettori dal sito web del quotidiano sportivo Olé. Una domanda più che mai attuale, soprattutto alla luce della tremenda sbandata della retroguardia argentina provocata proprio pochi giorni fa dalla selezione Catalana.

Gli oltre 12000 votanti hanno espresso un verdetto piuttosto chiaro ed inequivocabile, dal momento che oltre un terzo delle preferenze sono andate a Walter Samuel, centrale dell'Inter incredibilmente ignorato dal DT Maradona. Nulla da fare invece per il giovane Otamendi, per Burdisso, Coloccini, Diaz e per il Gringo Heinze, tutti staccati di almeno duemila voti. Certo, il sondaggio può lasciare il tempo che trova, soprattutto con la panchina dell'Argentina occupata dal Diez, dimostratosi fin dal primo giorno piuttosto restio nel prendere in considerazione la stessa opinione pubblica che lo ha fortemente voluto alla guida della Nazionale, ma, alla luce dell'inspiegabile esclusione dalla rosa di uno dei migliori difensori centrali del campionato italiano e probabilmente di tutta Europa, questo rimane comunque un risultato piuttosto significativo.

L'avventura del Muro sotto la guida di Maradona si è limitata soltanto a qualche sporadica convocazione nelle prime partite, a qualche panchina e tribuna, per poi concludersi con un più che affrettato accantonamento dell'ex-Real Madrid, ritenuto inadatto dallo staff tecnico. Decisione abbastanza significativa, rivedendo a giochi fatti il cammine dello Seleccion, qualificatasi per i Mondiali sudafricani all'ultima giornata, al quarto posto nel girone sudamericano e non senza macroscopici quanto preoccupanti problemi. Fra questi spicca impietosamente la difesa, presa in particolare a pallate dalla Bolivia, messa in crisi dall'ottimo Paraguay e tramortita con imbarazzante facilità dal Brasile.

Ogni volta il DT ha cercato nuove soluzioni, nuovi uomini, nuove motivazioni, ma il risultato è sempre rimasto invariato, sia che si trattasse di una partita di qualificazione che di una qualsiasi amichevole. Maradona è comunque sempre stato piuttosto chiaro sul suo punto di vista, ritenendo Gabriel Heinze, ex Manchester United e Real Madrid ora in forza all'Olympique di Marsiglia, il miglior numero 6 argentino da affiancare all'affidabile ed intoccabile Demichelis. Il Gringo è infatti uno dei suoi uomini di fiducia, uno dei giocatori cui Maradona non sarà mai disposto a rinunciare, al pari ad esempio di Jonas Gutierrez. Una predilezione, la sua, quantomeno inspiegabile visto il rendimento messo costantemente in mostra da Heinze: guerriero di grande personalità ma estremamente carente sotto il profilo del posizionamento, della continuità e della concentrazione.

Le alternative sono state diverse, ma il risultato non è mai cambiato: Otamendi, interessantissimo in proiezione futura ma ancora acerbo ed inesperto, Diaz, Coloccini e Dominguez, chiaramente inadatti per essere presentati a certi livelli. L'unica alternativa, sebbene non al livello di Samuel, potrebbe essere Burdisso, dotato quantomeno di una certa esperienza; ma anche in questo caso Maradona ha messo in mostra un certo disinteresse. Rolando Schiavi, invece, è considerato a tutti gli effetti il vice-Demichelis, nonostante in qualche occasione di emergenza i due abbiano giocato anche assieme.

Dopo una serie di imbarazzanti prestazioni ed esperimenti di fronte a tutto il globo, i tifosi argentini si sono stancati ed hanno chiarito definitivamente la loro posizione in merito, facendo presente che in patria la considerazione verso Walter Samuel è ancora immutata. Ora la palla passa nuovamente a Maradona, che, dopo aver dato spazio ad un'infinità di giocatori, potrebbe finalmente rendersi conto di quanto possano essere utili alla sua Seleccion le straordinare capacità difensive del centrale nerazzurro.

23 dic 2009

Intervista ad Alen Stevanovic

Il settore giovanile dell'Inter è riconosciuto all'unanimità come uno dei più floridi e rigogliosi d'Italia, frutto di anni di lunga ed oculata programmazione che hanno portato Piero Ausilio ed il suo abilissimo team a sviluppare un'attenta ed affidabile rete di osservatori in grado di pescare talenti in tutto il mondo. Ogni anno la Primavera nerazzurra può così presentare con sorprendente continuità giovani calciatori più o meno pronti a cercare di seguire le orme degli ormai famosi predecessori Balotelli e Santon.
Quest'anno uno dei talenti più cristallini messosi in mostra agli ordini di mister Pea è senza dubbio Alen Stevanovic, giovane trequartista serbo arrivato quasi un anno fa al termine di una lunga trattativa giunta a buon fine soltanto nelle ultime ore del mercato di riparazione invernale.

Dopo un inevitabile primo semestre di difficile ambientamento, Stevanovic ha iniziato la nuova stagione nel migliore dei modi, trovando sempre più spazio, continuità e fiducia nei propri mezzi. Aiutato dal modulo deciso in comune accordo da Fulvio Pea e José Mourinho, il giovane classe 1991 ha avuto più occasioni per mettere in mostra un potenziale non indifferente: ottimo fisico, tecnica eccellente, imprevedibilità, dribbling secco e preciso, discreta visione di gioco. Il talento nato a Zurigo ha inoltre trovato anche una certa continuità in zona gol, grazie al destro molto delicato e preciso.
Insomma, siamo di fronte ad un giocatore con colpi da campione che un anno fa ha saputo convincere José Mourinho e, secondo voci di corridoio, prima ancora attirare anche l'attenzione degli osservatori del Real Madrid. Come qualsiasi giovane, Stevanovic ha ancora molti difetti da limare, vedi ad esempio una certa propensione nel portare palla e nell'avventurarsi in improbabili azioni solitarie, ma mantenendo un basso profilo e continuando a lavorare con volontà e serietà non è difficile immaginare un suo prossimo e felice approdo in prima squadra agli ordini del tecnico di Setúbal. Nel frattempo è arrivato un primo meritato riconoscimento: la convocazione e la panchina nella sfida di Coppa Italia a San Siro contro il Livorno.


Dimostrando grandissima gentilezza, Alen si è reso disponibile per rispondere ad alcune nostre brevi domande.

Sappiamo che sei nato a Zurigo, ma il tuo cognome è di chiare origini serbe. Da dove viene la tua famiglia e dove sei cresciuto?
"E' una storia molto lunga: il mio cosiddetto padre se n'è andato da qualche parte quando avevo tre mesi e mia madre da quel momento si è ritrovata sola con me. Per il mio bene decise di mandarmi a vivere in Serbia da mia nonna e mio zio, sono cresciuto con loro per 18 anni, per loro darei la vita e senza di loro non sarei nulla adesso. Mia madre ha continuato a lavorare a Zurigo con suo padre (mio nonno), che purtroppo ora non è più fra noi. Adesso lei ha un nuovo marito, Zoran, che posso solo ringraziare perchè è sempre stato presente per me come un vero padre, e due bambini con lui: mia sorella Jelena e mio fratello Jovan. Non ho mai visto mio padre per 18 anni, mentre io e mia madre siamo sempre stati in contatto e quando poteva è sempre venuta a trovare me, mia nonna e mio zio in Serbia."

Dove hai iniziato a giocare a calcio?
"Col calcio ho iniziato in un piccolo club in Serbia. A quei tempi non avrei mai immaginato di poter giocare in un grande club come l'Inter!"

Qual è il tuo ruolo preferito?
"Preferisco giocare attaccante esterno, a sinistra, come Ronaldinho a Barcellona."

Hai un idolo calcistico?
"Il mio idolo è senza dubbio Zinedine Zidane, è un giocatore incredibile e tutti i suoi ex allenatori e amici dicono che sia un grande persona."

E' circa un anno che giochi in Italia, puoi darci le prime impressioni sulla tua
esperienza?
"Sì, sono qui da 11 mesi e ho avuto problemi ad ambientarmi i primi 3-4 mesi, perchè prima di arrivare all'Inter non ho giocato per un anno e 8 mesi, ma ora, grazie a Dio, tutto sta andando bene. Il calcio in Italia è molto difficile, c'è pochissimo spazio, ma voglio lavorare e continuare ad imparare."

Nelle ultime settimane ti sei allenato con la prima squadra e Mourinho ti ha convocato per la partita di Tim Cup contro il Livorno, come ti sei sentito?
"E' stata una grande esperienza e un onore stare in panchina con tutte quelle superstar, quei grandi giocatori e, ovviamente, ascoltando un grande allenatore come Mourinho posso crescere e migliorare molto."

Domanda inevitabile: cosa pensi di José Mourinho? Ti piacciono i suoi metodi di allenamento?
"E' un allenatore incredibile, sa tutto, sente tutto e vede tutto. E' un grande allenatore e mi piacciono moltissimo i suoi metodi."

Cosa ne pensi dell'Inter? Ti vedi in questa squadra in futuro?
"Questa è una delle migliori squadre del mondo, darò tutto quello che posso per giocare in questa squadra. Mi piace questa città, mi piace il club, mi piace tutto qui!"

Grazie mille, Alen.
"Grazie a voi e forza Inter!"


G.B. e G.D.C.

Sorprendente Catalogna!

Al Camp Nou va in scena un autentico spettacolo nell'amichevole fra i padroni di casa e la Nazionale argentina. Nel giorno del grande ritorno in panchina da parte di Johan Cruijff, la Catalogna batte a sorpresa la Seleccion sperimentale schierata da Héctore Enrique, sostituto dello squalificato Maradona -costretto dalla FIFA a seguire l'incontro dalla tribuna- e può così festeggiare nel migliore dei modi.

Come era lecito aspettarsi, l'undici catalano è di stampo prettamente blaugrana, con Victor Valdes, Puyol, Piqué, Xavi, Busquets e Bojan a formarne la colonna vertebrale. Bastano solo pochi significativi minuti per capire che dal Barcellona è stato copiato ed importato anche lo stile di gioco, fatto di movimento senza palla, passaggi rapidi e precisi, paziente possesso palla e geometriche triangolazioni in grado di scardinare qualsiasi difesa avversaria. Purtroppo per i numerosi tifosi argentini presenti sugli spalti del Camp Nou, quella albiceleste non è una difesa qualsiasi, ma un autentico colabrodo che concede sempre più spazio agli avversari e va in confusione minuto dopo minuto. A peggiorare ulteriormente la situazione di Maradona e dei suoi ci pensa Cruijff, calmo e pacato sulla panchina del Camp Nou, quanto geniale e inarrestabile nello schierare e nel muovere le pedine sullo scacchiere. Quella di Johan è una lezione totale, come il suo calcio, come la sua Catalogna.

Quasi per dimostrare che allenatori non si diventa da un giorno all'altro, come inspiegabilmente accaduto al suo dirimpettaio, Cruijff in quella che doveva essere una semplice passerella per presentarsi al suo vecchio ed amato pubblico, al suo popolo adottivo, sembra giocare a fare l'alchimista. Prende un bel po' dell'inarrestabile Barcellona di Guardiola, la forma moderna ed evoluta del suo Dream-Team, vi aggiunge ancora un filo di immancabile calcio totale, qualche idea nuova, sorprendente, e come per magia trasforma i gregari in campioni incantando tutti. Prevedere la solita monumentale ed impeccabile prestazione di Xavi non era particolarmente impossibile, così come non lo era immaginare il fondamentale apporto di giocatori del calibro di Valdes, Puyol e Busquets, ma chi si sarebbe mai aspettato Sergio Garcia nelle vesti di Messi e Verdú in quelle di Henry?

Il tecnico olandese sfodera dal cilindro un tridente incontenibile composto da questi ultimi due e da Bojan Krkic: è la mossa vincente. I tre sono inarrestabili, non lasciano punti di riferimento, continuano a scambiarsi posizione mandando in tilt una difesa già non irresistibile, creano superiorità numerica, rientrano, giocano nello stretto e si allargano con facilità ed impressionante armonia.

L'altro colpo di genio di Cruijff è avanzare Piqué in mediana. Il difensore centrale del Barcellona è sorprendente, mettendo in mostra ancora una volta doti tecniche inarrivabili per qualsiasi altro difensore, fa valere la sua forza fisica ed un invidiabile senso tattico. Con Xavi e Busquets domina in lungo e in largo la zona nevralgica del campo, irridendo con imbarazzante superiorità qualsiasi tentativo di pressione e di disturbo avversario. Una soluzione, schierarlo come pivote del centrocampo, che farà sicuramente sorridere Guardiola, ben felice di sapere di avere a propria disposizione una valida alternativa in caso di estrema necessità.

La vittoria della Catalogna va ovviamente presa con le pinze, per il valore della sfida e per la consistenza dell'avversario: una Seleccion tutta nuova che ha messo in mostra evidenti lacune e ha fatto intravedere soltanto qualche tiepido raggio di sole, come il buon lavoro sporco di Bolatti in cabina di regia, le ottime giocate in contropiede di Lavezzi e la classe e personalità di Pastore, l'unico a cercare scambi in velocità, a proporsi sempre per il passaggio di un compagno e a cercare soluzioni meno prevedibili e banali del solito. A soli sei mesi dal Mondiale l'Argentina deve fare ancora moltissima strada, cercare un'identità di gioco e trovare magari anche una certa stabilità a livello di rosa, perchè con l'amichevole di Barcellona i giocatori provati nell'era Maradona sono già più di settanta.

Per quanto riguardo i catalani, non resta che aspettare il prossimo appuntamento, magari con i giocatori blaugrana più riposati, non reduci dallo sfiancante viaggio per Abu Dhabi, e un Cesc Fabregas in più!

Top of the Decade: TOP-5 Terzini (Resto del Mondo)

Roberto Carlos
Il prototipo del terzino di spinta. Sinistro leggendario, corsa costante, dribbling. Monumento al Real Madrid e in Nazionale, in una carriera in cui ha vinto tutto gli è mancato soltanto il Pallone d’Oro (per un pelo).


Cafu
Libertadores, Champions League, Intercontinentale e Mondiale per club. In più 142 presenze col Brasile e 3 finali mondiali. Palmares internazionale impressionante per un pendolino di fascia infaticabile. Resistenza da fenomeno, gran cross e difesa.


Maicon
Il nuovo che avanza: apparentemente la fusione fra R.Carlos e Cafu. Fisico imponente e spinta inesauribile uniti a cross calibrati, dribbling travolgenti e gol. E’ lui il nuovo termine di paragone.


Javier Zanetti
136 presenze con l’Argentina (primo all time), 666 nell’Inter, di cui le ultime 149 consecutive (secondo all time). Leggenda e monumento della squadra nerazzurra, capace di giocare su entrambe le fasce e ovunque in mezzo al campo. Dedizione straordinaria, abnegazione totale, corsa infaticabile, ma anche controllo, protezione di palla e dribbling da campionissimo.


Daniel Alves

Anche lui fa parte della nuova generazione. Chiuso in nazionale proprio da Maicon, il terzino del Barcellona è un talento come pochi. Offensivamente fenomenale, grandissimo cross, capacità di dialogare coi compagni, gol, inserimenti e punizioni. Uno degli artefici, forse il principale, del Siviglia prodigioso di qualche anno fa.


G.B. e G.D.C.

20 dic 2009

El Matador

Il suo nome sta girando parecchio ultimamente, quindi siamo in ballo e balliamo.

Edinson (notare la n prego) Cavani è un attaccante uruguaiano in forza al Palermo. Classe 1987, arriva in Sicilia un pò a sorpresa a Gennaio 2007. Nello stesso periodo disputa un grande campionato Sudamericano under 20 con la sua nazionale, mettendo in mostra le sue doti migliori. Talento, fisico da punta vera, gol. E l'inizio in serie A non è da meno, con 2 reti nelle prime 2 presenze.

Sembra passato un secolo e Cavani è cambiato molto da allora nel suo modo di giocare. In origine ci trovavamo davanti un'idea di prima punta abbastanza completa. Oggi abbiamo una punta atipica, capace di fare anche l'esterno. Sia nella sua seconda stagione a Palermo che nella stagione in corso, il ragazzo ha infatto giocato in un ruolo più defilato, spesso esterno destro nel 4-3-3 o nel 4-2-3-1, posizione mai troppo amata. Questo ha influito pesantemente sui suoi gol (5 nel 2007-2008, 3 in questa stagione), ma anche sulla considerazione generale su di lui. In mezzo, una stagione da punta nel 4-3-1-2 con 14 gol, dimostrando qualità ben superiori a quelle che gli vengono di media attribuite.

Il piede preferito è il destro, capace di disegnare imprevedibili e potenti traiettorie. Buona la tecnica e il dribbling, non granchè il sinistro e la progressione. Il giocatore da il meglio di se attaccando la profondità, giocando sulla linea e alle spalle dei difensori, o in alternativa col tiro dalla media distanza. Più impacciato con la palla tra i piedi, sa farsi valere anche nel gioco aereo grazie a un buon tempismo unito ai suoi 184 cm. Da esterno offre tanta corsa, sacrificio tattico e importanti soluzioni sui tagli in area. Meno dal punto di vista di dribbling, assist (anche se il cross non gli manca) o giocate a effetto.

El Matador
è insomma ancora un talento per larghi tratti inesplorato, la cui crescita è rimasta un pò bloccata dai continui cambi di ruolo e dalle consegne tattiche. Ma età, talento e voglia giocano dalla sua parte.

Il Pincha a un passo dal sogno

L'Estudiantes può fare ritorno in Argentina a testa alta ed orgoglioso per quanto fatto ad Abu Dhabi, ma il rimpianto rimane tuttavia grandissimo, perchè gli uomini di Sabella, partiti con tutti gli sfavori del pronostico, hanno accarezzato il sogno per quasi novanta minuti, svegliati bruscamente soltanto dalla zampata di Pedro ad un attimo dallo scadere ed infine tramortiti nel secondo tempo supplementare dal colpo di petto del nuovo Pallone d'Oro Leo Messi.

Al di là del risultato e della cocente delusione, Veron e compagni meritano comunque rispetto ed applausi per quanto messo in campo, per come hanno affrontato gli avversari e per come hanno lottato su qualsiasi pallone. La partita di ieri contro la squadra più forte d'Europa e del pianeta è forse lo spot migliore che il campionato argentino poteva offrire in diretta mondiale, ben lontano dai contorni di violenza per cui è tristemente famoso o dalle magre figure, in campo e fuori, raccolte ultimamente dalla Nazionale e dal suo principale rappresentante. L'Estudiantes è infatti la sintesi perfetta di tutto ciò che di positivo il calcio argentino può proporre in questo momento: grinta, cuore, passione, sacrificio abbinati ad un apprezzabile tasso tecnico.

Accompagnato da un impressionante seguito di tifosi, il Pincha ha affrontato la trasferta negli Emirati Arabi con la consapevolezza di poter scrivere una pagina memorabile della propria storia e di quella del calcio sudamericano, perchè difficilmente si ricorda una squadra tanto favorita dai pronostici quanto questo Barcellona. Sabella ha preparato la sfida contro i catalani nel miglior modo possibile e, approfittando della giornata non particolarmente positiva degli uomini di Guardiola, l'Estudiantes ha sfiorato il colpaccio, giocando soprattutto una prima frazione ai limiti della perfezione.

Veron alla vigilia aveva avvisato tutti, invitando chiunque avesse intenzione di vedere un bello "spettacolo" ad andare a teatro, perchè per lui e compagni l'importante era solo ed esclusivamente il risultato. Un po' machiavellica la Brujita, soprattutto di fronte ad artisti del calibro di Xavi, Messi e compagni, ma in quei primi quarantacinque minuti, in tutta onestà, il Pincha, dal punto di vista tattico, ha messo in mostra un vero e proprio spettacolo. Pressing asfissiante, concentrazione, tagli ai fondamentali rifornimenti di Xavi, ripartenze rapide e chirurgiche: il tutto condito da grinta e una certa dose di ruvidezza che hanno messo in grande difficoltà il Barcellona, incapace di dare ritmo alle complesse geometrie della propria manovra. A serrare le fila degli argentini c'era ovviamente lui, Sebastian Veron, capitano e direttore d'orchestra capace di giocare al contempo di sciabola e di fioretto: un autentico manuale del calcio, un mix di tecnica, classe e personalità inimitabile. La Brujita, se fosse stato necessario, ha fatto rimpiangere per l'ennesima volta il suo prematuro addio al calcio europeo, confermandosi come uno dei migliori centrocampisti visti all'opera nell'ultimo decennio.

Dopo un primo tempo da manuale in cui l'Estudiantes ha interpretato alla perfezione e nei minimi dettagli l'unica via attuabile per mettere in difficoltà gli spagnoli, a fare la differenza è stata la panchina blaugrana, capace di tagliare le gambe ai ragazzi di Sabella ormai troppo stanchi e tenuti in piedi soltanto da un'immensa forza di volontà. Dopo una sequenza di errori più o meno clamorosi da parte delle proprie punte, il Barcellona ha trovato il gol sugli sviluppi di un'azione piuttosto casuale e in quel momento, a due soli minuti dalla fine, si è infranto il sogno del Pincha e dei suoi tifosi. La rete di Messi è poi stata l'inevitabile conclusione del crollo degli argentini, bravi comunque a non arrendersi e a sfiorare un clamoroso pareggio con un colpo di testa di Desabato a pochi secondi dalla conclusione dell'incontro.

La freddezza e la grinta di Boselli, il lavoro sporco di Braña, la quantità e la qualità di Enzo Perez, il monumentale lavoro della coppia difensiva Cellay-Desabato e, soprattutto, l'immenso Juan Sebastian Veron non sono bastati per portare a casa uno storico successo, ma, nonostante l'amara e cocente delusione, la sensazione è che l'Estudiantes si sia confermato una volta per tutte la miglior squadra d'Argentina e del Sud America.

11 dic 2009

Rogelio Gabriel Funes Mori

Da Mendoza al Texas e poi di ritorno da Dallas all'Argentina, precisamente a Buenos Aires, passando però prima per Londra. Non è un itinerario di viaggio consigliato o la trama di una qualche pellicola cinematografica, ma la storia di Gabriel Funes Mori, centravanti diciottenne del River Plate che nel giro di cinque giorni ha collezionato rispettivamente la prima convocazione in Primera, l'esordio al Monumental e il primo gettone da titolare.

La sua è senza dubbio una storia fuori dal comune e l'impressione è da subito quella di trovarsi di fronte ad un predestinato. Lasciata Mendoza in tenerà età per seguire il padre, ex-calciatore di buon livello della massima divisione argentina, alla ricerca di miglior fortuna negli Stati Uniti, i gemelli Gabriel e José hanno impiegato ben poco per farsi notare inizialmente tra le fila di vari club texani e in seguito nelle giovanili del Dallas FC. Approdati nel club della MLS dopo aver raggiunto rispettivamente la vittoria (Gabriel) e un piazzamento nelle prime cinque posizioni (José) nel reality "Sueño MLS", organizzato da una nota rete televisiva statunitense, il centravanti e il difensore centrale di casa Funes Mori sono stati presto notati ed invitati per un periodo di prova al Chelsea da Jorge Alvial, procuratore fra gli altri di Franco Di Santo. Nonostante l'ottima impressione agli occhi dei tecnici dei Bleus, l'avventura londinese dei gemelli di Mendoza dura solo qualche settimana per problemi di natura burocratica. Fatto ritorno in Texas e decisi a tornare in Argentina, ad attenderli dietro l'angolo c'è proprio la squadra del cuore, il River Plate, contattata dal loro stesso allenatore Oscar Pareja.

Per Gabriel, dall'arrivo a Nuñez all'esordio in Prima squadra, il passo è molto breve. Aggregatosi alle giovanili dei Millonarios poco meno di un anno fa e conquistati diversi titoli nazionali a suon di gol, è arrivata dapprima la chiamata fra le Riserve e poi l'inaspettata convocazione di Astrada. Il Jefe non ha infatti esitato a puntare su Funes Mori per rimediare alla cronica assenza di un centravanti, concedendogli venti minuti contro il Velez e facendolo poi partire da titolare contro il Racing di Avellaneda, accompagnato da Bou e Buonanotte. Pur senza strafare, il giovane talento si è fatto apprezzare per sacrificio e applicazione nel gioco spalle alla porta, dando battaglia a difensori del calibro di Dominguez ed Otamendi, conquistando importanti calci piazzati e facendo salire molto bene la squadra con interessanti sponde.

Alto 185cm e dotato di una buonissima tecnica di base, all'occorrenza può essere schierato anche come ala sinistra, ruolo in cui ha mosso i primi passi. Convocato assieme al gemello José anche nella Selezione argentina U-18, Funes Mori è sicuramente il tipo di giocatore che serviva al River Plate: una punta di razza abile nel gioco aereo, spalle alla porta e che raramente si fa trovare impreparata in zona gol. Smaltita l'emozione delle prime partite nella massima divisione argentina ed imparato a gestire l'enorme pressione del Monumental, il ragazzo potrà sicuramente fare progressi importanti e fondamentali per la sua carriera sotto la sapiente guida di Leo Astrada.

Nel frattempo l'attestato di stima più importante arriva proprio dal suo stesso capitano, Matías Almeyda, che, interrogato sui rinforzi necessari per la prossima stagione, parlando del reparto offensivo si è lasciato andare fra le altre cose ad un paragone eccellente: "Oggi Astrada ha fatto debuttare come titolare questo giovane, Funes Mori, che secondo me ha davanti a sè un grande futuro. Credo proprio che siamo di fronte ad un altro Hernán Crespo". Non male.

Top of the Decade: TOP-10 Terzini (Europa)

Bixente Lizarazu
Terzino sinistro basco, affermatosi ad altissimi livelli nel Bayern Monaco e con la Nazionale francese. Continuità di rendimento, capacità difensiva, tecnica e cross. In carriera ha vinto tutto, imponendosi come leggenda.


Patrice Evra
Mancino del Manchester United con una lunga gavetta alle spalle (Marsala, Monza, Nizza e Monaco), tre finali di Champions League disputate. Tanta corsa, capacità di dialogare coi compagni, cambio di passo, dribbling e assist le sue qualità principali.

Gianluca Zambrotta

Destro naturale, nato ala, impostosi come terzino sinistro per intuizione di Marcello Lippi, abile a sfruttarne l'ambidestria. Grandissime stagioni alla Juventus, si è consacrato con la vittoria al Mondiale 2006. Da allora ha gioca prevalentemente terzino destro, prima a Barcellona, poi al Milan.



Ashley Cole

Talento precoce dell’Arsenal. Corsa fulminea e cross col contagiri. Passato poi, non senza polemiche, ai rivali del Chelsea. In Inghilterra a sinistra di meglio non si trova.


Philipp Lahm
Destro naturale abilissima nel giocare a sinistra, leader del Bayern Monaco e della nazionale tedesca. Gran dribbling e capacità di cross con entrambi i piedi ne fanno un’arma offensiva importante quanto imprevedibile.


6. John Arne Riise
“Thunderbolt”, il miglior terzino sinistro-goleador europeo degli anni 2000. Terrificanti per potenza le sue conclusioni. Il norvegese a Liverpool ha mostrato grandi cose, portandosi a casa una Champions League.

7.
Willy Sagnol
Altro francese del Bayern Monaco, terzino destro solidissimo apprezzato soprattutto per qualità ed eleganza al cross che hanno fatto le fortune di diversi compagni di club e di nazionale.

8.
Sergio Ramos
Il più giovane in classifica (classe 1986), si specializza terzino destro negli ultimi anni al Real Madrid. Grande tenuta fisica, ma anche doti tecniche non comuni, forse un po’ troppo ostentate. Sul lato difensivo c’è ancora da lavorare , ma a Madrid è già il futuro capitano.

9. Vincent Candela
Grandissimo alla Roma, eleganza e tecnica i suoi marchi di fabbrica. Ha vinto tutto quello che c'era da vincere con la maglia dei Bleus.

10.
Gary Neville
Capitano e colonna del Manchester United, prototipo del terzino “difensore”. Discese oculate ma mai banali, tanta solidità, personalità ed esperienza che gli sono valse la fiducia illimitata di Sir Alex.

G.B. e G.D.C.

10 dic 2009

Top of the Decade: TOP-5 Portieri (Resto del Mondo)

Júlio César
Attualmente, il migliore del mondo. Completo, sicurissimo e pure spavaldo nelle uscite palla al piede. Tanti successi recenti dell’Inter portano la sua firma. Una crescita spaventosa di anno in anno.


Nelson Dida
Per due stagioni il migliore al mondo, con diverse parate ai limiti dell’umano. Anche pubblicizzato come nessun altro, ha avuto un improvviso crollo verticale da cui si sta riprendendo solo adesso, ad anni di distanza.


Rogério Ceni
Leggenda assoluta del San Paolo (872 presenze), monumento in Brasile. Il re di tutti i portieri-goleador, con i suoi 84 centri in carriera.

José Luis Chilavert

Portiere paraguayano entrato nel mito grazie all’abilità nel battere punizioni e rigori (62 reti, ben 8 in nazionale). Carriera svolta principalmente in Sudamerica con la maglia del Velez Sarsfield.


Roberto Abbondanzieri
Il miglior portiere argentino e giocatore in attività più vincente della storia del Boca Juniors. In Europa, miglior portiere della Liga giocando nel Getafe, scusate se è poco.

G.B. e G.D.C.

6 dic 2009

River: Passarella, per ora, nuovo Presidente!

Non potevano che concludersi fra dubbi, brogli e colpi di scena le elezioni per la Presidenza del River Plate, per sintetizzare e ricordare ancora una volta, se fosse necessario, il periodo e la situazione in cui naviga il club di Buenos Aires. Con un'affluenza record alle urne, 14.237 i soci votanti, che ha obbligato la società a posticipare la chiusura dei seggi, le elezioni si sono concluse in tarda nottata, non risparmiando clamorosi e drammatici colpi di scena.

La sfida è principalmente fra Daniel Passarella e Rodolfo D'Onofrio, con Caselli possibile outsider, Kiper e Mera Figueroa a spartirsi una minima parte di consensi. Al termine degli scrutini, le prime voci, confermate anche dagli organi di stampa, incoronano D'Onofrio, vincente per due soli voti sul Kaiser. Tuttavia si verifica ben presto un clamoroso colpo di scena: alcune schede elettorali sembra infatti non fossero regolamentari, senza timbro, più piccole delle originali o con nomi sbagliati, come "Frasserella" anzichè "Passarella". Il nuovo conteggio della Giunta Elettorale vede dunque l'ex-gloria del River Plate vincere per sei voti, quanto basta per essere dichiarato ufficialmente nuovo Presidente del club, incarico che occuperà a partire dal 14 di Dicembre.

Questo è però soltanto l'inizio di quello che è e sarà un altro grave scandalo per i Millonarios, perchè difficilmente D'Onofrio rinuncerà ad un nuovo conteggio e con molte probabilità si appellerà agli organi di giustizia argentini. Difficile che il risultato delle elezioni possa cambiare, ma neanche il giorno che doveva rappresentare la svolta e la rinascita del club riesce a trasmettere tranquillità ed ottimismo ai tifosi del River Plate. Rimane curioso il fatto che questo possibile quanto probabile broglio elettorale coinvolga proprio il candidato più vicino a José Maria Aguilar. La lista di Rodolfo D'Onofrio presenta infatti molti personaggi vicini a quello considerato come il peggior presidente della storia del club di Nunez e al suo fedele assistente Mario Israel. A peggiorare ulteriormente la sua posizione vi sono poi dei presunti rapporti con impresari dalle attività non particolarmente chiare e soprattutto con i leader più influenti dei famosi Borrachos del Tablon, la frangia più violenta del tifo riverplatense.

Da una parte la probabile sconfitta di D'Onofrio può dunque rappresentare la svolta per la Banda, un punto di partenza da cui ricominciare a cercare di ricostruire un club allo sbando su tutti i fronti: gestionale, economico e sportivo. Dall'altra è lecito riservare qualche dubbio nei confronti di Passarella, considerato da molti ancora inesperto per ricoprire una carica tanto delicata. Il neo-presidente ha incentrato la sua campagna elettorale su punti molto cari a soci e tifosi del River Plate, affermando di voler regolare innanzitutto la situazione economica della società cercando ad esempio di accrescere notevolmente le entrate legate al marketing, dando fiducia ad Astrada e presentando un piano che spera possa riportare la squadra ai livelli che le competono nel giro di un biennio.

Non resta dunque che attendere un verdetto definitivo e inappellabile, nella speranza che i tempi bui siano stati lasciati alle spalle una volta per tutte.

5 dic 2009

Top of the Decade: TOP-5 Portieri (Europa)

Gianluigi Buffon
Il più completo e soprattutto costante di tutti. Il punto di riferimento da 10 anni sempre al top. Ai Mondiali 2006 ha subito due sole reti (autogol e rigore), giocando a un livello tale che gli ha permesso di sfiorare il Pallone d’Oro.


Oliver Kahn
Il migliore prima dell’esplosione di Buffon. Estremamente reattivo tra i pali, qualche errore di troppo negli ultimi anni. Anche lui ha chiuso un’edizione dei Mondiali (2002) con due sol gol subiti, purtroppo in finale.

Iker Casillas

Precoce come solo Buffon, con la differenza di giocare nel Real Madrid. A volte poco sicuro soprattutto nelle uscite, tra i pali non teme rivali. Gli ultimi scudetti vinti dal Real portano la sua firma. La squadra ha avuto la miglior difesa pur essendo quella che subiva più tiri in porta. Indovinate chi le prendeva tutte?


Francesco Toldo
Merita questo posto per i primi anni 2000. Dei picchi in carriera che pochissimi altri possono vantare. Sempre nella mente dei tifosi per Italia-Olanda a Euro2000 e per Valencia-Inter 2-1. Per anni al pari con Buffon, e scusate se è poco.


Petr Čech
Il più giovane del lotto, scovato dal Chelsea e affermatosi come uno dei migliori del mondo (nel 2005, rompendo il dominio di Buffon) in tempi brevissimi. Poi l’infortunio alla testa, ma le sue qualità restano impressionanti.

G.B. e G.D.C.

Top of the Decade

Visto l'approssimarsi dell'anno nuovo, gli autori di questo blog hanno deciso all'unanimità di proporre delle classifiche. I top ruolo per ruolo, divisi in europei e resto del mondo, degli ultimi 10 anni.
I migliori del millennio.

4 dic 2009

River: addio a Fabbiani

La notizia era da tempo nell'aria e nella conferenza stampa odierna Astrada ha preferito non aspettare oltre per darne l'ufficialità: salvo ripensamenti dell'ultim'ora legati all'esito delle elezioni presidenziali, Cristian Fabbiani non farà parte della rosa del River Plate nella prossima stagione e con molte probabilità non vestirà la maglia della Banda neanche nelle ultime partite che la squadra deve giocare nell'Apertura in corso. In questo modo a Gennaio El Ogro farà ritorno al Cluj, squadra rumena attualmente proprietaria del suo cartellino e con cui potrà discutere del suo futuro.

Termina così un rapporto mai decollato con tutto l'ambiente Millonarios, ormai stanco delle prestazioni incolore e sottotono dell'attaccante proveniente dal Newell's Old Boys, come recentemente dimostrato da un sondaggio in cui la stragrande maggioranza dei tifosi si è espressa a favore dell'addio. Arrivato accompagnato da grandi aspettative derivanti dall'ottimo semestre disputato con la maglia dei rossoneri di Rosario, Fabbiani aveva tutte le carte in regola per diventare uno degli idoli del Monumental, aiutato dal fatto di essersi esposto in prima persona nella trattativa fra le due società confermando la sua ferma volontà di giocare per il River Plate, squadra di cui è sempre stato tifoso; per lo stesso motivo rifiutò anche un'offerta decisamente più vantaggiosa da parte del Velez, abile a sfruttare le indecisioni dei dirigenti della Banda nel concludere la trattativa.

Ma l'idillio fra gli hinchas del club di Nuñez e l'Orco è durato ben poco, minato dalle impalpabili prestazioni del giocatore e dal periodo nero attraversato dalla squadra. Se nel primo semestre è possibile trovare qualche prestazione abbastanza convincente, gli ultimi quattro mesi di Fabbiani sono ricordati più per le reazioni ai fischi dei propri tifosi che per quanto messo in mostra sul terreno di gioco. Messo da parte dal suo primo estimatore, Gorosito, non è riusciuto a convincere e a conquistare neanche Leo Astrada, apparso inizialmente deciso a recuperarlo e rilanciarlo.

Seconda punta dai piedi buoni ma con fisico da centravanti, Fabbiani verrà ricordato per le frequenti dichiarazioni d'amore nei confronti del River Plate, in cui chiedeva fiducia al popolo Millonarios e prometteva un pronto riscatto per le deludenti prestazioni, per i continui litigi con qualsiasi direttore di gara, che lo hanno portato ad avere più ammonizioni che reti messe a segno -solo tre- e soprattutto per l'imbarazzante stato di forma esibito in lungo e in largo per tutta l'Argentina. Sovrappeso, indisponente, svogliato e deconcentrato, l'Ogro ha affrontato la maggior parte delle partite mettendo in mostra l'esatto contrario di quanto affermava ad ogni intervista, particolare che ha provocato l'ira dei suoi stessi tifosi, già abbattuti dalla difficile situazione in cui si trovava e si trova tuttora il club.

A sua parziale discolpa va l'essere stato spesso impiegato come centravanti, ruolo che ha dimostrato di non saper minimamente interpretare, dopo la partenza di Falcao per il vecchio continente, ma se in quasi dodici mesi l'unico episodio rilevante dell'avventura a Buenos Aires di Fabbiani è il matrimonio con la nota star televisiva Victoria Vanucci, è difficile trovare valide attenuanti e giustificazioni.

Il dilemma Rui Costa

Mi serve parlare di uno storico giocatore portoghese per esemplificare un problema nel pensiero comune.

Manuel Rui Costa fa parte della "generazione d'oro" del Portogallo capace di vincere un storico mondiale under-20 nel lontano 1991. Inizia e finisce la sua carriera nel Benfica, in mezzo una parentesi di 12 anni in Italia. Fiorentina prima e ahimè Milan poi le sue maglie. Trequartista di classe immensa, gran dribbling e soprattutto assoluta macchina da assist. Rui Costa passa dalla Fiorentina al Milan portandosi dietro lo status di superstar. Investimento da 85 miliardi di lire, 10 sulle spalle, leader e faro assoluto del gioco.

Vi starete chiedendo, e il problema dov'è?

E' presto detto. Rui Costa nel Milan ha vinto tutto, disputando stagioni di assoluto spessore condite da 65 assist forniti ai compagni. Nella considerazione generale è però un giocatore "normale", di certo di gran lunga inferiore al suo successore (a livello di ruolo) Kakà per un motivo semplicissimo: ha segnato appena 7 gol in 123 presenze in maglia rossonera.

Il tifoso di calcio non necessariamente ne capisce tutte le meccaniche, e anche di meno segue davvero(o per intero) lo svolgersi del gioco. La conseguenza più diretta di questo fatto è che se un giocatore che non entra in una voce statistica, cioè nei tabellini marcatori, non fa presa sul pubblico. Poco importa quanto possa fare per la squadra, qualche gol getta tanta luce negli occhi da accecare, anche solo per l'ovvio effetto emotivo che ha.

Notare che per Rui Costa parliamo di un assist di fatto ogni 2 partite. Un giocatore, a suo modo, assolutamente decisivo. Ma destinato a essere davvero compreso e apprezzato da pochi, per la sola colpa di far segnare i compagni.

1 dic 2009

Il Re che volle farsi Principe

Diego Alberto Milito nasce in Argentina il 12 Giugno 1979.
Il suo nome tutt'ora non dice granchè a tanti.

Inutile dire quanto si sbagliano.

Ad oggi è uno dei centravanti più completi in circolazione, ma la sua carriera non è stata da fenomeno precoce. Piuttosto Diego si è "costruito" di anno in anno, di esperienza in esperienza, affinando doti naturali inizialmente nascoste. In Argentina gioca nel Racing Avellaneda, più che altro come seconda punta, senza lasciare un ricordo indelebile. Qualche gol e un campionato, ma non certo le stimmate del campione.
Arriva quindi in Italia, dalla porta di servizio, che nel suo caso si chiama Genoa in serie B. Qui si inizia a sentire il suo nome. L'impatto sul campionato e sulla squadra è notevole, come il numero (21 al secondo anno, vicecapocannoniere) e la fattura dei gol. Si impone a suon di prestazioni da autentico trascinatore, fino alla promozione della squadra. Proprio quando sembrano spalancarsi per lui le porte della serie A, la sua squadra finisce implicata in questioni poco pulite, e retrocessa in C1.
Chiaramente non è questa la dimensione di Diego, che viene ceduto(inizialmente in prestito, poi definitivamente) in Spagna, al Real Saragozza, dove milita anche suo fratello Gabriel, difensore.
Finalmente può confrontarsi col calcio che conta, e da subito dimostra di trovarsi a suo agio. In tre stagioni, 15, 23(vicecapocannoniere) e ancora 15 gol, che purtroppo non salvano il Saragozza da una clamorosa retrocessione. Da non dimenticare anche uno storico poker servito al Real Madrid in coppa del Re.

E' questa una tappa fondamentale dell'evoluzione del calciatore Milito. Nella sua prima esperienza italiana si era vista una prima punta agile, abile a giocare sul filo del fuorigioco con un gran senso del gol e un destro notevole. In Spagna il suo gioco si è completato in primo luogo tatticamente. Si abitua infatti a giocare in svariati moduli, con compagni diversi rispondendo sempre alle esigenze della squadra. In più fisicamente si fa più robusto, migliorando nettamente nella difesa del pallone, ma anche nella capacità di giocare la palla.

Ancora una volta, non è certo la Segunda Division il suo ambiente. Tuttavia nessun club bussa alla sua porta, fino all'ultimo giorno di mercato quando viene tesserato in extremis ancora dal Genoa. Il primo club ad avere creduto in lui, casa sua. Finalmente Diego scopre la serie A, e si trova decisamente bene. 24 gol, per l'ennesima volta vicecapocannoniere, massimo numero di gol in un campionato per un giocatore del Genoa nella storia, più 5 annullati ingiustamente, in 31 presenze. Nell'arco del campionato segna in ogni modo a qualsiasi squadra, compresi 4 gol in due derby(tripletta al ritorno, primo nella storia). Ma limitarsi ai gol sarebbe ingiusto per il Principe(soprannome datogli in Argentina per la somiglianza con Enzo Francescoli). Oltre a finalizzare come pochi, aiuta la squadra con grande spirito di sacrificio, mettendo in mostra pressing e ripiegamenti difensivi tatticamente intelligenti e preziosi. Tecnicamente si è molto raffinato, ottimo nel controllo di palla e regale nelle finte, pienamente ambidestro nel tiro. Il destro è anche sensibilissimo negli assist, favoriti dalla sua generosità e dalla sua visione di gioco, notevole per una punta. Nel gioco stesso la sua presenza si sente, sia per come tiene la palla, sia per la capacità di dialogare coi compagni, nel breve ma anche con lanci lunghi, in ogni zona del campo.
Tutto questo non passa certo inosservato, così Diego nella stagione in corso viene acquistato dall'Inter, squadra quadricampione in carica in cui giocano i suoi fraterni amici Cambiasso e Zanetti che si dice siano i principali artefici del suo arrivo. Un arrivo sicuramente tardivo in una grande, ma per il giocatore al momento giusto. All'apice della carriera, dopo aver di fatto imparato tutto quello che si può chiedere a una punta. Nei primi mesi con la squadra mette a segno 9 gol in 12 presenze in campionato e il suo primo in Champions League, dimostrandosi giocatore di spessore assoluto.
Oltre ai numeri, stupisce l'assoluta umiltà e l'affetto che (soprattutto a Genova) circonda questo giocatore. Umanamente straordinario quanto silenzioso.

Spesso siamo talmente impegnati a seguire presunti fenomeni in campionati di dubbio valore, da dimenticarci ciò che abbiamo in casa. Il Principe, adesso nerazzurro, è qui a testimoniarcelo.

30 nov 2009

Quando a scomporsi è Don Andrés

La sfida del Camp Nou, anche se avara di reti, ha regalato emozioni, piacevoli giocate, agonismo ed altri innumerevoli spunti. Presentato come la "partita del secolo", il Clásico non ha tradito le attese e le due squadre, pur non dando vita ad una partita dai toni tanto epici e melodrammatici, si sono affrontate a viso aperto in un incontro più o meno equilibrato, ben lontano dai trionfi catalani della passata stagione ed in bilico fino al fischio finale. Fra i molteplici temi suggeriti dalla sfida, a partire dallo scontro tra il Florenteam costruito a suon di milioni e il Barcellona presentatosi con sette titolari provenienti dalla Masia, al sorpasso in classifica da parte degli uomini di Guardiola e passando poi per le singole rivalità fra Messi e C.Ronaldo o gli ex-italiani Ibrahimovic e Kaká, vale la pena soffermarsi su un episodio curioso quanto insolito che ha visto come protagonista Andrés Iniesta.

Nella seconda metà della partita contro gli odiati rivali del Real Madrid il centrocampista di Fuentealbilla, dopo aver subito un fallo, si rivolge a muso duro nei confronti di Cristiano Ronaldo, invitandolo platealmente a fare silenzio. Nulla di strano, nulla di eccessivo, ma sicuramente un avvenimento da ricordare, perchè per la prima volta non fa parlare di sè solo per le sue magie, per il suo incedere elegante e per le giocate da scuola calcio che regala ogni volta in cui scende in campo, ma per una semplicissima quanto composta reazione all'ennesimo fallo subito e alle provocazioni della stella portoghese che ha infiammato ulteriormente i tifosi catalani.

Iniesta, determinante nello scombussolare i piani del Real Madrid e nel congelare il possesso palla negli ultimi venti minuti giocati in inferiorità numerica, corona così un'altra superba prestazione con un siparietto che si è già trasformato in tormentone dalle parti di Barcellona. Fa infatti sorridere vedere il timido quanto pacifico centrocampista spagnolo perdere per una volta l'aplomb e non è impossibile intuire il motivo della reazione quando, nel post-partita, lui stesso spiega di essere stato invitato da Ronaldo a rialzarsi e a smetterla di cadere a terra, aggiungendo poi di non ritenere il portoghese la persona particolarmente più indicata per dare certe lezioni di stile. Difficile dargli torto, anche se alla stella del Real Madrid, oltre alle indiscusse qualità calcistiche, va dato atto di essere riuscito in un'impresa più unica che rara, far indispettire Don Andrés!

23 nov 2009

Ma Javier Pastore?

Arrivato in pompa magna dall'Argentina, presentato da Zamparini come il nuovo Kaká e considerato da tutti gli addetti ai lavori un acquisto formidabile, dopo undici presenze Javier Pastore non ha ancora convinto e c'è già chi inizia a storcere il naso, intravedendone un potenziale Ernesto Farias.

Finora l'argentino ha messo in mostra grandi cose soltanto nella vittoriosa sfida contro la Juventus, alternando poi prestazioni mediocri ad altre decisamente insufficienti, faticando ad entrare in partita, a mantenere ritmo e concentrazione e, soprattutto, dando l'impressione di essere ben lontano dall'essersi inserito in squadra, facendo così sembrare sempre più lontani i tempi dell'Huracan, del tanto apprezzato tiki-tiki di cui lui, DeFederico e Bolatti erano gli ambasciatori principali, quando sotto la guida di Angel Cappa ha sfiorato una clamorosa vittoria nell'ultimo Torneo di Clausura. Vittoria sfumata a soli dieci minuti dalla fine dell'epico scontro contro il Velez e decisa da una follia del direttore di gara Brazenas. Qual è dunque il reale valore di Javier Pastore? Quanto può dare al calcio italiano e quanto si può credere nelle sue qualità?

Chi lo ha visto giocare in Argentina, chi lo conosce bene, non può non aver notato fin da subito le enormi capacità del Flaco, trequartista longilineo dotato di tecnica sopraffina, visione di gioco e fantasia; poco meno di un metro e novanta tutto dribbling, classe ed eleganza. Un talento in grado di poter sorprendere in ogni momento: mai banale, mai prevedibile sia in fase di finalizzazione che di assistenza o costruzione della manovra. Esploso improvvisamente grazie all'eccellente lavoro di Cappa, ha acquisito maggiore continuità nelle prestazioni e una maggiore efficacia in zona gol, conquistando così in pochi mesi le attenzioni di tutti gli addetti ai lavori europei e guadagnandosi le attenzioni anche di grandi club come il Manchester United.

Tuttavia le difficoltà di ambientamento al calcio europeo erano piuttosto prevedibili, perchè se da una parte l'enganche ex-Huracan ha messo in mostra un potenziale immenso, dall'altra ha evidenziato molti limiti dal punto di vista della continuità, della concentrazione e soprattutto della concretezza. Inoltre la limitata predisposizione alla fase difensiva e il fisico ancora troppo leggero sono imperfezioni che il calcio italiano ha saputo mettere in evidenza in breve tempo e con grande facilità. A peggiorare la situazione ci ha poi pensato una squadra ancora da plasmare, priva di una propria identità, ben lontana dall'essere in grado di potersi esprimere nel migliore dei modi ed eccessivamente discontinua, capace di alternare prestazioni esaltanti ad altre piuttosto disastrose.

Superata questa fase di ambientamento è certo che Pastore sarà in grado di incantare anche in Italia, mettendo in mostra qualità ben al di sopra della media che gli sono valse importanti quanto scomodi paragoni. Per il momento non resta che lavorare per limare i tipici difetti dei promettenti talenti d'oltreoceano, con l'assoluta convinzione di trovarsi di fronte ad un potenziale fuoriclasse che per ora necessita soltanto di fiducia e pazienza.

22 nov 2009

Thiago Motta, il calcio

Un titolo provocatorio per uno dei centrocampisti più sottovalutati del campionato italiano.
Ma sottovalutato non è il termine esatto, perchè non è poi così difficile vedere le qualità individuali di Motta. Grande tecnica, grande visione di gioco, sinistro illuminante abbinati ad un fisico da mediano da combattimento.
E da quando è in Italia, ha aggiunto al mix anche i gol.

Quindi dov'è il problema?

Il problema sta nel modo di giocare. Nel suo modo di vedere e dispensare calcio, che può spiegarsi solo con doti innate e grande lavoro nelle giovanili di una squadra come il Barcellona. Già, perchè Thiago nasce ed esordisce come calciatore lì, in quella fucina di talenti, in quella scuola di calcio vero. La sua totale esplosione, dopo un promettente inizio, viene però bloccata da una serie di infortuni articolari piuttosto seri che lo portano prima ad abbandonare il Barcellona e poi la Spagna, per cercare un rilancio-scommessa nel Genoa di Preziosi, ingolosito da tanto talento.

Oggi, a 28 anni, Thiago Motta è un giocatore nel pieno della sua maturità calcistica.

Ma perchè questo centrocampista che è stato l'anima del Genoa rivelazione della stagione 2008/2009 fa storcere il naso a tanti tifosi dell'Inter, suo attuale club?
Dicevo poco fa, per il suo modo di giocare. In parte, vale il discorso fatto un paio di articoli più indietro dal mio amico e collega su Xavi. Thiago non è un giocatore dal dribbling ubriacante, di tanta corsa, dai gol spettacolari o dai numeri a effetto. E' un giocatore di calcio, crea calcio a ogni tocco di palla. Lui non corre perchè fa correre e sudare il pallone. Tocchi sempre di prima, sempre precisi. Velocizza la manovra a occhi chiusi, trovando sempre un'opzione di gioco. A questo aggiunge un'abilità innata nel "leggere" la partita e gli spazi del campo. Il suo gioco è spesso verticale, mai banale e finalizzato allo sviluppo collettivo dell'azione. Lento si, ma pronto a muoversi negli spazi per dare opzioni a chi ha la palla. A questo unisce un temperamento spesso sopra le righe(basta vedere le squalifiche rimediate in carriera...), ma da vero lottatore.
Un metronomo del centrocampo che col suo fisico, i suoi piedi e le sue idee detta davvero i tempi della squadra.

Ha un limite: per rendere gli servono i compagni con cui dialogare, i movimenti e gli scambi, magari nel breve. E in quetso a Genoa ha trovato un ottimo compagno in Diego Milito e un ottimo allenatore in Gasperini, che per metà stagione ha fatto letteralmente girare l'intera squadra attorno al genio di un regista così atipico.

Per apprezzarlo non bastano gli highlights, non basta wikipedia e non basta youtube. Serve vederlo giocare, per davvero, e capire la differenza tra il calcio e l'atletica.

Da tutto questo, il titolo.
In un calcio sempre più fisico fatto di corridori, è un piacere veder giocare i pochi calciatori rimasti.

21 nov 2009

Selezione Catalana

Non è una nazionale ufficiale. Non è riconosciuta nè dall'Uefa nè dalla Fifa. Non può prendere parte a nessun torneo internazionale patrocinato da queste, quindi ufficiale. Ha disputato la prima partita nel 1904. L'ultima nel 2008. E' allenata da una leggenda.

Per questi e per molti altri motivi il 22 Dicembre sarà una data importante, poichè si riunirà ancora una volta la Selecció Catalana, a poco meno di un anno dall'ultimo vittoriosa partita contro la Colombia. Ma non sarà uno qualunque degli oltre cento incontri disputati, poichè per la prima volta a prendere posto sulla panchina sarà Johan Cruijff, autentica leggenda blaugrana e figlio adottivo della Catalogna.

Il Camp Nou è già pronto a festeggiare ed omaggiare la sua Nazionale e il selezionatore olandese ha da poco comunicato la lista dei convocati per l'esordio che li vedrà opposti all'Argentina di altre due stelle del Barcellona: Diego Armando Maradona e Lionel Messi.

Portieri: Víctor Valdés (Barcellona), Jordi Codina (Getafe)
Difensori:
Bruno Saltor (Valencia), Sergio Sánchez, Fernando Navarro (Siviglia), Carles Puyol, Gerard Piqué (Barcellona), Oleguer Presas (Ajax), Joan Capdevila (Villarreal), Albert Lopo (Deportivo La Coruña)

Centrocampisti:
Xavi Hernández, Sergio Busquets (Barcellona), Cesc Fábregas (Arsenal), Moisés Hurtado, Joan Verdú (Espanyol), Oscar Serrano (Racing Santander), Sergio González (Deportivo La Coruña)

Attaccanti:
Ferran Corominas (Espanyol), Bojan Krkic (Barcellona), Albert Luque (Málaga), Sergio García (Betis)

Si tratta evidentemente di una squadra con qualità importanti, capace di presentare tre quarti della linea difensiva della Nazionale spagnola e soprattutto un centrocampo di livello assoluto, dove Cesc Fabregas si aggiunge a Busquets e soprattutto Xavi per formare un trio in grado di portare al contempo fisicità, geometria, dinamismo e gol. Da non sottovalutare è anche il contributo che possono garantire fra gli altri giocatori del calibro di Capdevila, Victor Valdes e Bojan Krkic.

Insomma, la Selezione Catalana ha tutti i presupposti per poter mettere in difficoltà un'Albiceleste ben lontana dall'essere in grado di esprimere nel migliore dei modi l'enorme potenziale a propria disposizione. Le uniche incognite di questa affascinante amichevole saranno le condizioni dei giocatori del Barcellona, impegnati la settimana precedente nel Mondiale per Club, e l'effettiva presenza di Maradona sulla panchina argentina, dal momento che pur non trattandosi di un evento ufficiale, alla luce della squalifica recentemente ricevuta, potrebbe indispettire non poco i vertici della Fifa.

20 nov 2009

Mourinho: "Xavi da Pallone d'Oro"

"Personalmente, assegnerei il Pallone d'Oro a Xavi. Credo che lui non avrà neanche quello d'argento o di bronzo, perché c'è bisogno di capire il calcio per capire che è un fenomeno. Non è uno che mette il pallone in tasca, che fa gol incredibili, ma che gioca 60 partite alla stagione ed è il migliore in campo su 45 di queste. Non riposa mai, gioca tutti i minuti, si allena a 30 anni come se ne avesse 17. Ha vinto tutto, assolutamente tutto, gli manca solo di vincere un campionato del mondo con la sua nazionale. Credo sia un crimine che un ragazzo così termini la sua carriera, tra 3 o 4 anni, senza avere il riconoscimento di un giocatore assolutamente fantastico." (J. Mourinho)


Un'investitura pesante, un riconoscimento inaspettato quanto meritato quello espresso da José Mourinho nei confronti di Xavi Hernandez, vicecapitano del Barcellona campione di Spagna e d'Europa, leader della Spagna, miglior centrocampista dell'ultima Champions League e miglior giocatore dell'Europeo 2008.

Regista fantastico in grado di dare ritmo, tempi e qualità alla manovra come nessun altro, dotato di una visione di gioco unica al mondo e di qualità tecniche ben sopra la media. Ha raccolto l'eredità di Pep Guardiola anni fa ed ora è lui grazie ad un senso tattico e ad un capacità di leggere il gioco fuori dal comune a svolgere il ruolo di allenatore in campo, di metronomo e faro della squadra. Che si tratti del Barcellona o della Spagna, ogni azione passa dai suoi piedi ed ogni pallone che gioca non è mai banale è soprattutto non è mai fuori misura.

Lanci a tagliare il campo, suggerimenti in verticale, scambi nello stretto, dribbling e punizioni: il suo repertorio è infinito eppure è uno dei giocatori più sottovalutati a livello globale, oscurato dalle serpentine di Messi, dalla classe di Iniesta, dai gol di Eto'o prima e dalle giocate spettacolari di Ibrahimovic ora. Come affermato da Mourinho a contraddistinguere Xavi è soprattutto l'impressionante continuità nelle sue prestazioni, sia per numero di minuti giocati sia per la qualità messa in campo ogni singola partita dei Blaugrana e delle Furie Rosse.

Probabilmente il regista di Terrassa paga il fatto di non gonfiare la rete da trenta metri come Gerrard o di non segnare venti gol in una stagione come Lampard, oppure di faticare a tenere palla per almeno cinque secondi prima di cederla ad un compagno e, soprattutto, di non essere abbastanza personaggio, di non amare le prime pagine, la cronaca rosa e più in generale la vita mondana.

Insomma, Xavi non fa vendere giornali, non fa vendere scarpe, fa vendere poche magliette, eppure non è un reato credere fermamente, al pari di Josè Mourinho, che sia superiore a qualsiasi altro centrocampista al Mondo e che, in questo momento, sia l'unico giocatore in grado di cambiare completamente il volto e il gioco di una squadra.