25 dic 2010

Rafael Benitez vs. The World

Il 23 Dicembre è arrivata la risoluzione consensuale tra Rafa Benitez e l'Inter, dopo mesi pieni di tante, troppe cose tra cui, meglio non dimenticarlo, due trofei.

Per quello che probabilmente sarà in proporzione al tempo uno degli allenatori più vincenti della storia nerazzurra un addio amaro, duro, nato appena dopo la vittoria del Mondiale per Club. Benitez ha parlato chiaro, come mai prima, togliendosi tutti i macigni dalle scarpe.
"Il Mondiale per club era un appuntamento fondamentale, lo abbiamo centrato e adesso ci deve dare la spinta per il resto della stagione. Questo è un momento di felicità, ma non si può andare avanti così perché ho bisogno del supporto al 100% della società. Quando sono arrivato, la società mi aveva promesso tre acquisti per costruire una squadra ancora più forte, invece non è arrivato nessuno. Sono un professionista serio e merito rispetto per il mio lavoro. Adesso ci sono tre possibili strade: la società fa un progetto e compra 4 giocatori subito a gennaio; andiamo avanti così con l'allenatore come unico colpevole; oppure il presidente parla col mio procuratore e troviamo un'altra soluzione...".
Sappiamo tutti qual'è stata la scelta.

Senza entrare nel merito dei problemi della sua gestione (argomento troppo vasto, variegato e complesso) lo sfogo di Rafa contro il mondo indica a coloro che restano (società e giocatori in primis) degli errori fondamentali, da cui si deve imparare per non ricaderci con altri tecnici.

"[...]non si può andare avanti così perché ho bisogno del supporto al 100% della società.[...]Sono un professionista serio e merito rispetto per il mio lavoro"
Questo è il peccato capitale. Benitez all'Inter è stato un dead man walking dal giorno uno perchè non ha mai avuto la società totalmente dalla sua parte. Si dice che Moratti volesse Capello, fatto sta che il tecnico è stato ben presto delegittimato, e in quel momento ha iniziato a perdere di mano la squadra. Non si può dare un gruppo campione di tutto in mano a un allenatore visto come un suplente, nè rilasciare costantemente dichiarazioni se non proprio contro quantomeno non a favore, specie col fantasma di Mourinho dietro...la piccola crepa iniziale è diventata così un baratro incolmabile.

"Quando sono arrivato, la società mi aveva promesso tre acquisti per costruire una squadra ancora più forte, invece non è arrivato nessuno."
Tralasciando la veridicità o meno della promessa (e di conseguenza il trattamento riservato a Benitez), è importante capire il concetto. A ogni squadra, per quanto forte e vincente, serve rinnovarsi anche solo per portare nuove energie fisiche e mentali, nuova voglia di vincere, nuovi stimoli per un posto da titolare. Oltre a questo, dei nuovi elementi possono essere funzionali al lavoro del nuovo allenatore, sia per motivi tattici che di rapporto umano. Benitez è stato "abbandonato" con una squadra di sicuro sazia, disposta ad impegnarsi davvero solo per Mourinho e solo in certe occasioni, senza vie d'uscita se non i giovani, con tutti i pro e i contro.

Si è fatto di tutto per complicare al massimo una situazione già di suo non facile. Il nuovo allenatore (da ieri sera Leonardo) avrà assoluto bisogno di un nuovo inizio.

13 dic 2010

River Plate: Top&Flop Apertura 2010

Questa notte si conclude per il River Plate il travagliato torneo di Apertura 2010. Fra isolate luci e qualche ombra di troppo la squadra di Jota Jota Lopez proverà a chiudere con una vittoria un semestre per certi versi deludente e per altri di discreto conforto. Se la prima conclusione tratta dal bilancio dell'Apertura è che i Millonarios hanno completamente mancato l'utopistico traguardo scudetto, è altresì un dato di fatto che alla guida di Cappa e, soprattutto, Lopez la Banda ha ben iniziato la rincorsa al vero grande obiettivo dell'annata 2010/2011: la salvezza. Indipendentemente dalla sfida contro il Lanus, il River Plate si presenterà infatti ai nastri di partenza del Clausura fuori dalla zona retrocessione e con un promedio decisamente meno drammatico rispetto a pochi mesi fa.

TOP
Matias Almeyda: il capitano, l'anima e il cuore del River Plate. C'era chi invocava un suo pronto ritiro già a luglio e chi, come Cappa, lo aveva già espressamente messo ai margini della squadra per puntare su gente fresca. Sbagliato. Il Pelado ha messo tutti in riga conquistandosi il posto da titolare, zittendo le malelingue e godendosi la pubblica ammenda da parte di Don Angel.

JP Carrizo: c'è un oceano di mezzo fra Roma e Buenos Aires, come ce n'è uno fra le sue prestazioni in terra italica e quelle al Monumental. Juan Pablo lì si trasforma e torna ad essere il miglior portiere argentino, un mix di esuberanza, esplosività e personalità in grado di decidere qualsiasi partita (va detto, nel bene e qualche rara volta nel male).

Erik Lamela: la rivelazione del torneo di Apertura. Nonostante prodezze su prodezze fra le Riserve Cappa non lo vedeva pronto per la prima squadra e soltanto una fortunata serie di coincidenze lo ha proiettato in un viaggio di sola andata fra i grandi. Prima relegato sulla fascia sinistra, poi, con l'arrivo di JJ Lopez, è tornato nel ruolo di trequartista che più gli compete. Talento cristallino, su di lui si stanno già scatenando tutti i top club del vecchio continente.

Jonathan Maidana: arrivato come uno dei pezzi meno pregiati del mercato invernale (estivo, per noi europei), Johnny ha fatto dimenticare l'onta di aver giocato nel Boca nel migliore dei modi, segnando il gol decisivo proprio nel Superclasico contro gli Xeneizes. Questo è stato però soltanto l'apice dell'ottimo semestre di Maidana, fin da subito leader difensivo di una retroguardia che prima del suo arrivo era fra le più improponibili del panorama argentino.

Roberto Pereyra: il Tucu è con ogni probabilità uno dei talenti più sottovalutati del campionato argentino. Buonissima tecnica, dribbling fulminante, capacità aerobiche sopra la media e tanto spirito di sacrificio fanno di lui un esterno estremamente completo in grado di giocare sia a destra che a sinistra. Messo inspiegabilmente da parte sul finire dell'era Cappa, con l'arrivo di Juan José Lopez è tornato prepotentemente alla carica, riconquistandosi un ruolo da titolare e giocando un Superclasico sensazionale.

Manuel Lanzini: viste le premesse questo doveva essere il suo semestre, ma un problema muscolare lo ha tenuto ai margini per un lungo periodo e la Joya ha avuto occasione di mettere in mostra soltanto sprazzi del suo enorme talento. Ciò nonostante merita di essere fra i Top, perchè giocare nel River Plate con la sua personalità e qualità a soli 17 anni è da talento assoluto.

Mariano Pavone: grinta, tenacia, forza fisica e tanto tanto cuore. Sono mancati un po' di gol, ma l'Apertura del Tanque è di ottimo livello ed invita i dirigenti Millonarios a riscattare prontamente il suo cartellino, perchè al River mancava da tempo un giocatore in grado di reggere da solo il peso di un intero reparto.

JJ Lopez: doveva essere il tecnico ad-interim per il solo Superclasico, alla fine i buoni risultati gli hanno permesso di finire il torneo alla guida del suo River Plate. La vittoria contro il Boca Juniors potrebbe essere già sufficiente per spiegare la scelta di annoverarlo fra i migliori, ma Jota Jota ha fatto molto di più, portando il River ad un livello meno filosofico e decisamente più materialista: l'unica soluzione per accompagnare la squadra lontano dalla zona calda del promedio.

FLOP
Angel Cappa: il timore c'era e si è ben presto concretizzato. Il Filosofo ha bisogno di tempo e fiducia per plasmare una squadra con la sua stessa identità di gioco ed è un allenatore troppo idealista per un River che versa in queste condizioni. Purtroppo nei mesi trascorsi sulla panchina dei Millonarios Cappa sarà soprattutto ricordato per i tanti proclami, per i litigi con la classe arbitrale e per qualche mirabile intervento sul suo blog, mentre in molti preferiranno nascondere e fingere di dimenticare il ricordo della squadra senza anima, senza equilibrio e senza alcuna certezza vista negli ultimi tempi della sua gestione. Non v'è stata ombra del decantato tiki-tiki, vuoi per mancanza degli uomini giusti, vuoi per mancanza di tempo, ma in fin dei conti questo River di tempo non ne ha e lottare contro i mulini a vento con la convinzione che il solo aspirare a proporre un gioco formato Barcellona sia sufficiente a giustificare delle prestazioni alle volte imbarazzanti non sembra una scusante attualmente valida.

Paulo Ferrari: ha iniziato la stagione con gli occhi del DT della Seleccion Batista puntati su di lui e ha risposto con prestazioni piuttosto convincenti, ma nel lungo periodo il rendimento del Loncho è stato una delle cose più imbarazzanti proposte dalla Banda nel torneo di Apertura 2010. Da possibile candidato per un posto nell'Albiceleste, Ferrari si è ben presto rivelato uno dei veri anelli deboli della formazione titolare del River Plate. Per qualche inspiegabile ragione superiore o per mancanza di sostituti, è un intoccabile ed è difficile ricordare critiche pubbliche nei suoi confronti, tuttavia è impossibile dimenticare la fiera dell'orrore messa in mostra anche in questo semestre: diagonali inesistenti, marcature pressapochiste, incursioni offensive dalla totale inefficacia e soprattutto tremendi lapsus difensivi cui è tuttora difficile trovare una spiegazione.

Ariel Ortega: l'opposto di Matias Almeyda. Ha un'autonomia di mezz'ora eppure non accetta di essere sostituito, perde palloni e regala contropiedi agli avversari con una facilità disarmante, fatica sempre più a vedere la porta e soprattutto rallenta la manovra dell'intera squadra. Il problema di Ariel è che sembra non aver accettato l'età e il fisico che ormai si ritrova e insistendo in continuazione nella ricerca della giocata decisiva anzichè in quella utile, non fa che penalizzare la squadra. Il triste epilogo dell'Apertura, con il nuovo crollo nei suoi tristi quanto delicati problemi personali, non fa che suggerire un finale amaro.

Facundo Affranchino: tutti si aspettavano qualcosa di più dall'esterno nel mirino dell'Udinese. Dopo un buon inizio ha però perso di incisività e continuità, finendo relegato fra le fila della Reserva.

GR Funes Mori: lo avevamo lasciato con quattro reti nelle battute finali del Clausura, lo abbiamo ritrovato nuovamente a suon di gol ad inizio Apertura. Poi, purtroppo, il semestre di Funes Mori è stato una parabola discendente durante la quale il Melli ha perso fiducia, autostima e anche parecchia fortuna. A corto di gol ha faticato a trovare un posto in squadra e neanche l'arrivo di un tecnico attento ai giovani come Lopez gli ha permesso di rilanciarsi. L'interesse su di lui rimane altissimo e difficilmente Passarella resisterà a lungo alla corte dei numerosi club europei presentatisi a Nunez.

Diego Buonanotte: fa male inserirlo in questa parte della lista, ma il rendimento dell'Enano nell'Apertura 2010 ha presentato ben pochi aspetti positivi. Il feeling con Cappa non lo ha aiutato a riprendersi dai terribili problemi personali e quella che doveva essere la stagione del suo rilancio è per ora la continuazione di un brutto sogno da cui Diego dovrà cercare di svegliarsi con personalità, forza, coraggio e soprattutto con l'aiuto della gente che non ha mai smesso di sostenerlo.

Leandro Caruso: al suo arrivo si sono subito create la fazione che lo vedeva come nuovo Fabbiani e quella che invece lo riteneva un giocatore in grado di dare un importante contributo sul terreno di gioco. Chi ha vinto? Nessuno, perchè Leandro ha vissuto una stagione completamente ai margini, vittima di continui infortuni che non gli hanno mai permesso di trovare la giusta continuità di rendimento. Per ora la sua è una bocciatura, ma più avanti potrebbe regalare qualche soddisfazione al popolo del Monumental.

La Gata

Chi ha visto River Plate - Estudiantes avrà certamente impresso il ricordo di un biondino col numero 10 con la faccia tosta di battibeccare a lungo con Matias Almeyda. In più quel biondino qualche minuto prima aveva scagliato un destro terrificante da 25 metri che si era stampato sul palo nel silenzio del Monumental.

Il ragazzo attualmente dell'Estudiantes è Gaston Fernandez, detto la Gata, e calca da diversi anni il palcoscenico del calcio sudamericano. Classe '83 cresce nelle giovanili proprio del River Plate ed esordisce in prima squadra nel 2002-2003. Qui iniziano le sue peregrinazioni, che lo portano di fatto a cambiare una squadra all'anno, passando per Racing Club di Avellaneda, Monterrey in Messico, San Lorenzo, Tigres (sempre Messico), Estudiantes, ancora Tigres e ancora Estudiantes. Talento senza fissa dimora, riesce a vincere il Clausura 2003 col River (da esordiente, 8 presenze e 1 gol), il Clausura 2007 col San Lorenzo (da grande protagonista con 9 gol, insieme a Ezequiel Lavezzi), la Copa Libertadores 2009 con l'Estudiantes (con gol in finale), la Superliga col Tigres sempre nel 2009 e infine l'Apertura 2010 con l'Estudiantes.

A 27 anni sembra aver trovato la sua dimensione e un pò di continuità, come testimoniano i 7 gol in 10 partite.
Classica seconda punta agile con tecnica da vendere, abile a muoversi tra le linee e a saltare l'uomo ha pagato in carriera la discontinuità e un carattere un pò particolare (per questo Passarella nel 2003 decise di cederlo). Il talento è sempre stato evidente. Grande capacità di rifinire il gioco e valido nel tenere la palla, non è mai stato un grande goleador (tranne al San Lorenzo e al Tigres, dove ha segnato con buona continuità) anche per la sua tendenza a "uscire" mentalmente dalla partita in certi momenti, ma spesso ha segnato gol belli e importanti. La sua vittima preferita, manco a dirlo, il Boca Juniors a cui ha segnato con tutte le sue squadre in Argentina.

Cosa gli dirà la testa in futuro non è dato saperlo. Ma finchè gioca sarà un buon motivo per seguire l'Estudiantes.

7 dic 2010

Mi hanno sempre detto che...

Mi hanno sempre detto che il Pallone d'Oro lo vince un giocatore che ha disputato una grande stagione a livello personale e ha vinto con la sua squadra.
Nello specifico, mai è stato sufficiente vincere in generale, ma quasi un obbligo vincere trofei internazionali come la Champions League, massima competizione continentale per club, Europei o Mondiali con la nazionale. Questo genere di imprese ha sempre portato grandissima visibilità e anche vagonate di voti.

Per il Pallone d'Oro 2010, primo Pallone d'Oro Fifa, si sa che il vincitore sarà uno tra Andres Iniesta, Xavi Hernandez e Lionel Messi, cuore pulsante del Barcellona e quindi massima espressione di quel calcio moderno che ha nella Catalogna (e per estensione e "travaso" calcistico nella Spagna) la sua bandiera più alta.
Di sicuro tre grandissimi campioni, ma di fatto tre nomi a loro modo imperfetti.

Per tutti e tre ricordiamo un paio di cose: il Barcellona ha vinto la Liga e la Supercoppa di Spagna ed è stato eliminato in semifinale di Champions League. Il suo massimo splendore si è visto in campionato (compreso il recente 5-0 al Real) più che in Champions, dove ha sofferto anche in un girone sulla carta facilissimo.
Adres Iniesta ha "vinto" il suo Pallone d'Oro il giorno di Spagna-Olanda, segnando il gol decisivo nel supplementare. Quel singolo episodio lo ha di fatto elevato a candidato principe per il premio. Non importa che non abbia giocato praticamente mai da Maggio 2009 per i più vari problemi fisici, da cui ha recuperato in extremis proprio per la Coppa. Non si doveva premiare la stagione migliore? Evidentemente basta un gol nella partita giusta, ha più copertura mediatica.
Xavi, a causa dell'assenza del "gemello" Iniesta, ha tenuto in piedi da solo per tutto l'anno il centrocampo del Barcellona, ma non ha avuto un acuto pari al suo ai Mondiali. E' da sempre il motore (tremendamente vincente) di ogni squadra in cui gioca, il vicecapitano del Barcellona e il miglior giocatore di Euro 2008. Ma il Pallone d'Oro non è mai stato un riconoscimento alla carriera. Fino a oggi.
Messi è il Pallone d'Oro uscente, nonchè il miglior giocatore del mondo, faro assoluto di un Barcellona sempre più plasmato su di lui. 47 gol in 53 partite sono un bottino mostruoso, capocannoniere della Champions, pichichi della Liga e futura Scarpa d'Oro. Ma ai Mondiali? Uno dei più grossi flop della manifestazione, l'ombra del fratello di se stesso, come praticamente sempre quando indossa la camiseta albiceleste. E come, del resto, nella doppia sfida in semifinale di Champions League con l'Inter.

Si poteva scegliere meglio.
Wesley Sneijder, ma anche Diego Forlan, Thomas Muller o Bastian Schweinsteiger non meritano così poca considerazione per la sola colpa di non vestire blaugrana.
Non hanno vinto meno dei candidati, hanno solo meno pubblicità e nessun movimento alle spalle.
In particolare l'olandese era visto come il favorito assoluto, prima di Spagna-Olanda. Fresco tripletista con l'Inter (Champions League inclusa, ricordiamolo, con annessa eliminazione del Barcellona), miglior centrocampista e assistman della Champions League, trascinatore assoluto dell'Olanda ai Mondiali con 5 gol (co-capocannoniere con Villa, Muller e Forlan). Ma ha perso la finale, e tutto se n'è andato con la Coppa...
Non regge nemmeno la scusa degli ultimi mesi sottotono (contro presunte grandi prestazioni da Barcellona), perchè da quando esiste questo premio la seconda parte dell'anno non ha mai contato granchè nei voti.

Dopo Diego Milito, il secondo grande assente in questo premio dove certi parametri contano. Quando si vuole e per chi si vuole. Così mi hanno detto.

6 dic 2010

Erik Lamela

Ci provo, ma parlare del Coco in questi giorni non è particolarmente facile. Perchè? Perchè è semplicemente il giocatore del campionato argentino del momento, il crack su cui tutti hanno gli occhi, il nuovo Messi e il nuovo Pastore. E' la sensazione del River Plate e come purtroppo succede nella stragrande maggioranza dei casi si stanno già sprecando paragoni pesanti, tessendo lodi immeritate e predestinando futuri eccessivamente rosei. Tuttavia, senza la pretesa di erigermi a giudice supremo, credo sia ora di fare un po' di chiarezza su questo fantastico talento.

Non ho scelto casualmente la parola "talento", poichè è da questa che è necessario partire per parlare di Lamela, un giocatore ancora molto acerbo ma dalle qualità cristalline, con dei colpi da autentico fuoriclasse ed un sinistro già di categoria superiore; ma anche un ragazzo ancora discontinuo, con lacune evidenti e tanta inesperienza che lo porta spesso a commettere errori estremamemente banali. E' bastata una visita in Argentina da parte di Ariedo Braida per far passare questo campione potenziale in uno già affermato, quando neanche 48 ore fa stava segnando la sua prima rete da professionista grazie ad un delizioso pallonetto a scavalcare il portiere in uscita a coronamento di una splendida azione corale dei Millonarios. Lo bruceranno? Per fortuna se c'è una cosa certa riguardo ad Erik è che con questa pressione ci convive da anni, da quando il Barça fece esplodere un mezzo caso diplomatico per trasferire lui e la sua famiglia in Catalogna e di colpo si ritrovò catapultato fra apparizioni televisive ed interviste sulla carta stampata. Chi non si ricorda il biondino con la coda di cavallo? Chi non ha pensato che sarebbe ben presto finito nel dimenticatoio come molti altri baby-fenomeni prima di lui?

Dopo il tornado mediatico Lamela ha perso il posto da titolare nell'annata '92, scavalcato nelle gerarchie da Juan Montero e soltanto qualche anno fa, dopo una sorprendente crescita a livello fisico, è tornato prepotentemente in auge. Alla guida di una squadra incredibilmente ricca di talenti ha conquistato trofei in patria e all'estero, faticando tuttavia ad imporsi nel giro della prima squadra. Bou e Villalva gli sono stati spesso preferiti e il Coco si è ritrovato a dover affrontare un lungo apprendistato tra le Riserve: un male? Niente affatto, perchè in questo modo ha avuto la possibilità di non affrettare i tempi di maturazione, compiendo importantissimi progressi dal punto di vista caratteriale, fisico e della disposizione al sacrificio.

L'esordio è arrivato nel 2009, in occasione di un River-Tigre conclusosi tre a uno in favore della Banda -reti di Fabbiani, Falcao e dell'uomo partita Robert Flores, meteora uruguaiana in prestito dagli spagnoli del Villarreal-, ma soltanto da questo semestre Erik è entrato in pianta stabile nel giro della prima squadra. Mai tenuto in considerazione da Astrada, soltanto una fortunata serie di infortuni e squalifiche ha costretto Cappa a schierarlo in campo come esterno sinistro: nonostante le ottime prestazioni nel campionato delle riserve il Filosofo non lo riteneva infatti pronto per un impiego in prima squadra e si mormora che soltanto la costante pressione dei suoi collaboratori lo abbia convinto a riguardo. La momentanea consacrazione è arrivata tuttavia con Jota Jota Lopez, l'allenatore attuale del River Plate, nonchè coordinatore delle giovanili dei Millonarios. Chi meglio di lui può conoscere Lamela? Non è infatti un caso se all'esordio sulla panchina della Banda in occasione del Superclasico ha restituito ad Erik il suo ruolo naturale dietro alle punte, concedendogli totale libertà d'azione e fiducia incondizionata, ripagate da una partita di qualità e grande personalità.

Tuttavia è ancora presto per tessere lodi esagerate e azzardare qualche paragone un po' troppo forzato, poichè il trequartista nato nella Provincia di Buenos Aires, in questa decina di partite, ha evidenziato tante luci ed altrettante ombre. Le sue qualità sono ormai note: piede fatato, dribbling infallibile, calci da fermo magistrali, controllo di palla delicatissimo e doti tecniche fuori dal comune, abbinati ad un buon spirito di sacrificio ed una nuova discreta duttilità. Ma non ha ancora messo in mostra la sua visione di gioco, la capacità di fornire deliziosi assist ai compagni e finora ha evidenziato una certa tendenza a perdere qualche pallone di troppo in improbabili azioni solitarie. Può e deve pensare più velocemente, capire quando è il caso di cercare la giocata ad effetto o quando è meglio proporre un calcio semplice ed essenziale e soprattutto non deve farsi influenzare dall'ambiente esterno: qualche volta ha infatti dato l'impressione di abbattersi troppo facilmente per qualche mormorio seguito ad un suo errore.

La partita contro il Colon di Santa Fé è stato un chiaro esempio di ciò che in grado di fare e la rete messa segno contribuirà sicuramente ad allentare la pressione e a giocare con maggior tranquillità. Nel frattempo, dopo avergli fatto firmare un contratto che prevede una clausola di rescissione di venti milioni di Euro, il presidente Passarella dovrà resistere agli assalti di mezza Europa per lui e per Funes Mori, altro talento ricercatissimo nel vecchio continente.