28 nov 2013

Intervista a Carlo Pizzigoni

A inizio novembre la finale tra Nigeria e Messico, vinta dalla squadra africana, ha rappresentato l'atto conclusivo del Mondiale Under-17 organizzato negli Emirati Arabi. Si tratta di una delle manifestazioni più interessanti a livello giovanile e ogni due anni è possibile avere un'anteprima di ciò che il calcio potrà presentare a livello globale in un futuro più o meno prossimo. Avendo seguito con grande curiosità l'intero evento, abbiamo deciso di contattare il giornalista Carlo Pizzigoni, esperto e appassionato di calcio giovanile e sudamericano.


 
Partiamo dalla nazionale italiana e dal caso Bonazzoli. L’attaccante dell’Inter è stato escluso a sorpresa dal CT Zoratto ed è difficile credere si tratti soltanto di una scelta tecnica.
No, non si tratta assolutamente di una scelta tecnica, ma di una decisione presa a livello federale. Ovviamente l’esclusione di Bonazzoli mi ha colpito molto, perché stiamo parlando di quello che a mio avviso è il miglior under-17 italiano: un talento che meriterebbe già di giocare qualche spezzone in prima squadra.

In questa competizione l’Italia ha espresso un gioco carente, improntato sulla solidità e sull’ordine tattico. Ritieni accettabile che una squadra giovanile punti innanzitutto al risultato, dimenticandosi della qualità del gioco?
No, soprattutto se questo va in aperto conflitto con quanto dichiarato dal coordinatore tecnico delle Nazionali giovanili Arrigo Sacchi, che nel suo “manifesto” parlava apertamente dell’importanza delle prestazioni rispetti al risultato.
In ogni caso, vorrei fare una premessa: il Mondiale U-17 è la prima competizione di un certo livello che questi ragazzi affrontano, quindi è impossibile quanto ingiusto nei loro confronti dare giudizi trancianti. Proprio per questo motivo tendo a preferire le competizioni under-20, perché i giocatori si conoscono, hanno già esperienze significative ed è possibile iniziare a giudicare e valutare.
Tuttavia l’Italia U-17 ha espresso un gioco insufficiente, mettendo in campo lo stesso modulo sia all’Europeo che al Mondiale, costringendo molti giocatori ad adattarsi a ruoli e compiti poco nelle loro corde. La mia idea è che a questo livello i ragazzi debbano innanzitutto essere liberi di giocare. Prendiamo la Nigeria: nel corso di tutto il torneo i ragazzi di Manu Garba hanno dato l’impressione di divertirsi, hanno espresso un calcio “felice” e propositivo, commettendo diversi errori, ma interpretando il gioco per ciò che dovrebbe essere a livello giovanile. L’Italia invece era una squadra bloccata, in cui ognuno giocava con il freno a mano tirato.

Gran parte dei media e degli addetti ai lavori erano d’accordo nell’indicare Alberto Cerri, centravanti del Parma, come la stella della squadra azzurra. Il capitano degli azzurrini secondo te ha deluso le aspettative?
Come dicevo prima, è sempre molto difficile valutare un giocatore di diciassette anni soltanto per quanto mostrato in occasione di alcuni tornei internazionali. A mio avviso Cerri ha giocato un Mondiale sotto tono, ma si tratta di un ottimo giocatore e di un prospetto di sicuro valore. Credo abbia futuro e sia necessario avere un po’ di pazienza prima di poterlo giudicare.

L’Argentina di Humberto Grondona si è presentata al Mondiale come squadra campione del Sudamerica, ma nel corso della manifestazione anche l’Albiceleste non ha brillato per il livello di gioco espresso. Questo è un problema che si registra ormai da tempo a livello giovanile, qual è il tuo punto di vista a riguardo?
L’aspetto che più mi ha deluso e indignato è l’attitudine della nazionale argentina. I ragazzi di Grondona nel corso del torneo hanno tenuto un atteggiamento intimidatorio nei confronti degli avversari e non si tratta di una casualità, perché anche in occasione del Sudamericano di categoria avevano dato questa impressione. È inaccettabile e la trovo una cosa disgustosa: la semifinale giocata contro il Messico rappresenta il punto di non ritorno. Tutto questo non può che partire dall’allenatore, Grondona, che anche sul piano del gioco non si è certo distinto. La Seleccion, non un concentrato memorabile di talento, è l’immagine del degrado del futbol albiceleste. La società argentina sta vivendo un brutto momento e questo si ripercuote inevitabilmente sul calcio. Ne è un chiaro esempio l’inarrestabile spirale di violenza che si registra dentro e fuori il calcio.

A livello di singoli talenti, chi ti ha impressionato oltre alla stellina Driussi?
Non si tratta di una delle migliori U-17 che io ricordi, ma qualche giocatore interessante si è sicuramente visto. Oltre a Driussi, a me è piaciuto molto anche il suo compagno di squadra al River Plate, Emanuel Mammana. Guardando le partite in televisione è molto più facile che balzi all’occhio il giocatore offensivo, perché non è possibile apprezzare a pieno i movimenti, le coperture, la leadership, ma Mammana mi ha dato l’impressione di essere un difensore tosto, rapido ed elegante. Lui e Driussi sono senza dubbio i giocatori di maggior prospettiva. Leonardo Suarez invece ha talento, però è troppo lezioso e fisicamente non c’è proprio.

A differenza di Italia e Argentina, il Brasile, pur essendo stato eliminato in modo sorprendente ai quarti di finale, ha espresso un ottimo gioco, dando l’impressione di essere una squadra già matura.
Al Brasile manca solo un po’ di determinazione, perché a livello giovanile le squadre verdeoro non hanno mai raccolto i risultati meritati dal punto di vista della qualità di gioco espressa. La loro eliminazione è stata a dir poco sorprendente, considerati i talenti e l’organizzazione messa in mostra. È stupefacente vedere quanti giocatori di talento abbia potuto chiamare in ogni ruolo il CT Alexandre Gallo. In particolare sono stato felicissimo di vedere molti ragazzi provenienti dal Nordest, una terra straordinaria popolata da bravissima gente.

Come hai accennato, la Seleçao ha messo in mostra una quantità impressionante di talenti. Quali sono quelli che più ti hanno colpito?
In questo caso limitarsi a due o tre nomi è impossibile. Partendo dalla difesa, il portiere della Fluminense Marcos e il difensore Lucas mi piacciono molto, così come entrambi i terzini Abner e Auro. Il primo è già abbastanza conosciuto, un cavallo di razza finito sotto i riflettori dopo un Sudamericano giocato ad altissimi livelli, mentre il secondo è meno potente, ma più raffinato e tattico. Poi ci sono i due centrocampisti Danilo e Gustavo, più il pacchetto offensivo con i vari Nathan, Boschilia e Kenedy, che in questo momento preferisco a Thiago Mosquito.

A proposito di Nathan…
È spuntato dal nulla, quando l’ho visto in campo al Mondiale ho pensato: “E questo?! Da dove sbuca?!”. Fin dal primo pallone toccato ha dimostrato di essere un talento straordinario. Ho cercato di ottenere qualche informazione da fonti brasiliane e mi è stato riferito che il suo club, l’Atletico Paranaense, fino a poco tempo fa lo ha letteralmente tenuto nascosto per non perderlo a una cifra irrisoria, non facendolo giocare in nessuna competizione di categoria.

Indio: da stella dell’Under-15 a riserva, cosa ne pensi del suo percorso?
Indio purtroppo gioca nel Vasco da Gama, una società disastrata in mano a un folle, e questo sicuramente non ha contribuito a favorire la sua crescita. Mi sono innamorato di lui quando giocava nel Brasile U-15, ma in questo momento è ancora quello stesso identico giocatore: non è cresciuto, non è decisivo e inoltre sta iniziando a pagare dazio anche da un punto di vista fisico, non avendo particolari doti né sul breve né tantomeno sul lungo. Un altro talento di scuola vascaina che non sta confermando le magnifiche doti messe in mostra due anni fa è Thiago Mosquito. Il Vasco, proprio a causa di questa gestione scellerata, lo ha perso per due lire, ma anche lui non è cresciuto molto fisicamente e non sembra più essere quella macchina da gol della Seleçao Under-15.

Auro, Lucas, Gustavo e Boschilia provengono invece tutti dalle giovanili del San Paolo.
Il Tricolor, nonostante problemi rilevanti al settore giovanile, si conferma una società in grado di produrre talenti di livello con grande continuità. A volte può capitare che qualcuno di questi goda di immeritata pubblicità e non rispetti le attese venutesi a creare, come ad esempio nel caso di Bruno Uvini, ma la loro capacità di costruire giocatori “veri” è indiscussa. Lucas, Gustavo e Boschilia -quello che più ha sorpreso, crescendo moltissimo- ritengo siano chiari esempi di giocatori da San Paolo: solidi e di grande qualità.

Nonostante il terzo posto della Svezia, le selezioni europee hanno faticato molto. Può aver pesato l’assenza di squadre come Spagna e Germania?
In generale si è trattato di un Mondiale molto povero da un punto di vista tecnico. La Svezia non ha messo in mostra nulla di clamoroso e lo stesso Messico finalista ha espresso un livello di gioco mediocre. Proprio per questo motivo il rammarico per il torneo disputato dagli azzurrini è notevole. L’assenza della Spagna è stata sicuramente un brutto colpo per il livello medio, ma non è giusto togliere meriti alle squadre che si sono qualificate conquistando l’accesso agli Europei di categoria. Va invece fatto un discorso diverso per quanto riguarda la Germania, che recentemente non ha poi così brillato nella produzione di talenti nelle varie Under.

Ultima domanda: le squadre africane?
A mio avviso le due africane, Nigeria e Costa d’Avorio, hanno fatto molto bene. Le ho seguite in occasione della Coppa d’Africa Under-17 e il Mondiale ha confermato le mie impressioni: sono due gruppi che rappresentano alla perfezione gli stili di gioco storici delle due nazionali. Nella Nigeria meritano una menzione particolare Kelechi Ihaeanacho, votato Pallone d’Oro della competizione, e il terzino destro Musa, a mio avviso il miglior laterale del torneo. Tra gli ivoriani segnalo invece il potente difensore Kessie e Aboubakar Keita, centrocampista molto elegante.


In collaborazione con G.D.C.
Si ringrazia ancora Carlo Pizzigoni per la disponibilità e la cordialità. Trovare addetti ai lavori con la sua competenza e passione non è cosa facile né scontata.

27 nov 2013

Diego Costa e i suoi fratelli (ovvero i brasiliani ignorati dal Brasile)


Diego Costa sembra una mia personale ossessione (e in parte lo è), ma è semplicemente un giocatore attorno a cui viene naturale sviluppare diversi discorsi. Uno di questi è la tendenza della CBF di ignorare certi giocatori che potrebbero essere utili alla nazionale perchè di formazione europea.
Brasiliani di nascita, ma calcisticamente cresciuti ed educati lontani da casa per mille motivi, di fatto vengono ignorati finchè o cambiano passaporto o maturano completamente, mentre al contrario i giocatori "locali" accumulano molta esperienza di selecao fin da giovani.
Per entrambi i casi si possono fare diversi esempi.

Tralasciando Diego Costa di cui si è già parlato, negli ultimi anni diversi giocatori eleggibili per il Brasile sono andati a rinforzare altre nazionali.
L'ultimo in ordine di tempo è Thiago Motta. Nato in Brasile, trasferitosi in Spagna a 17 anni, dopo essersi rilanciato al Genoa e aver vinto tutto con l'Inter ha deciso di vestire la maglia azzurra senza troppi rimpianti, diventando un elemento importante nello scacchiere di Prandelli.
Ha trovato discreta fortuna con la Spagna Marcos Senna. Nato in Brasile, si trasferisce a Vilareal a 26 anni e qui passa tutta la sua carriera europea. Nel 2006 la nazionale roja lo chiama e Marcos si rivela un giocatore fondamentale per la conquista dell'Europeo 2008, il primo tassello del dominio spagnolo all'alba dell'era tiqui-taka.
Anche Pepe, che per quanto sempre discusso è alla sua settima stagione al Real Madrid, nasce in Brasile e si trasferisce in Portogallo a 18 anni. Maritimo, Porto e appunto Real le sue squadre, che lo hanno portato alla nazionale portoghese nel 2007 (pare rifiutando una chiamata di Dunga per il Brasile).
Prima di loro è il caso di citare Deco, giocatore rivelazione del Porto di Mourinho e protagonista assoluto del Barcellona di Rijkaard. Nato in Brasile, arriva in Portogallo a 19 anni ed esordisce col Portogallo nel 2003 proprio contro la sua nazionale di nascita segnando pure un gol decisivo.
No, non ho intenzione di citare Amauri.
In tutti questi casi è da segnalare il silenzio della federazione brasiliana. Evidentemente solo il numero 19 dell'Atletico merita certe attenzioni.
Ovviamente si trovano anche casi simili per le giovanili, ma a quel livello indubbiamente i selezionatori hanno il vantaggio di poter contare su un bacino di talenti pressochè illimitato in loco. Tuttavia qualcosa di buono sboccia anche all'estero, per citarne due Rodrigo e Jorginho.
Rodrigo del Benfica nasce in Brasile, cresce nelle giovanili del Celta Vigo, arriva al Real Madrid a 19 anni e diventa un titolare nel Benfica. Comincia con la Spagna nel 2009 con la selezione Under 19, mettendo insieme 37 presenze e 26 gol nelle varie giovanili.
Jorginho è la rivelazione dell'Hellas Verona. Nato in Brasile, cresciuto nel vivaio gialloblu, dopo essersi imposto in Serie B ha ricevuto la convocazione per l'Under 21 italiana.

Altri giocatori non hanno "tradito", attendendo con pazienza un'occasione.
Di recente Maxwell e Dante hanno vista premiata una lunga attesa. Il terzino dopo 12 anni di carriera in Europa fa il suo esordio col Brasile a 32 anni. Il centrale, che ha sviluppato la sua carriera tra Francia, Belgio e Germania, fa il suo esordio in nazionale a 30 anni dopo aver vinto tutto col Bayern Monaco.
Un altro ritardatario che adesso ha un posto è Hulk. L'ex Porto dopo una carriera particolare arriva compiutamente alla nazionale (l'esordio vero è nel 2009, ma poi il nulla) nel 2012 come fuoriquota per le Olimpiadi, a 27 anni.
Willian, ex Shakthar ora al Chelsea, è un caso abbastanza emblematico: giocatore dell'Under20 finchè è rimasto in Brasile, viene convocato per un'amichevole a 23 anni e rivede la nazionale solo a 25 dopo ottime prestazioni nel girone di Champions. Il suo ex compagno Fernandinho, malgrado grandi stagioni in Ucraina e un trasferimento record al City dove gioca titolare, invece aspetta ancora di tornare tra i convocati dopo le presenze raccimolate nel 2011 (a 26 anni). Entrambi si sono trasferiti allo Shakthar da giovani.
Ci sono poi i compagni di Diego Costa, Filipe Luis e Joao Miranda. Il terzino sbarca in Europa a 20 anni e sviluppa la sua carriera in Spagna tra Deportivo e Atletico. Oggi è uno dei migliori mancini del campionato eppure non vede la nazionale dal 2009. Miranda, decisivo addirittura in finale di Coppa del Re, giocava in nazionale con Dunga quando faceva ancora parte del San Paolo, mentre oggi viene ignorato.
Infine c'è il caso di Fernando Reges. Pescato dal Porto a 19 anni nella terza divisione brasiliana, gioca da sempre nella Primeira Liga e ha collezionato 11 titoli in 6 stagioni con la sua squadra. Nessuno dal Brasile l'ha mai cercato dopo un Sudamericano Under20.

Presunzione? Snobismo verso un calcio diverso? Troppi talenti da gestire? Semplice miopia?

18 nov 2013

Lucas Romero


Il Velez oltre ad essere protagonista sul campo nell'era Gareca lo è stato anche sul mercato esportando in Europa diversi giocatori, dalla prima generazione dei vari Nicolas Otamendi, Jonathan Cristaldo, Maxi Moralez, Ricky Alvarez, Augusto Fernandez fino ai più recenti Gino Peruzzi e Facundo Ferreyra. Il Fortin ha sempre dimostrato di saper produrre talenti, Lucas Romero è l'esponente più in vista della nuova generazione.

Nato il 18 Aprile 1994 gioca in pianta stabile con la prima squadra dalla stagione 2012/2013, con esordio il 9 Settembre 2012 contro l'Estudiantes. Gareca si fida molto di questo ragazzo e lo schiera diverse volte da titolare, in particolare nelle coppe dove serve più palleggio, come regista davanti alla difesa.
Fisicamente piccolo (172cm di altezza), compensa la scarsa fisicità con un'ottimo posizionamento, sia nel coprire le linee di passaggio che nell'andare a contrastare. Tatticamente molto disciplinato, si propone sempre ai compagni per ricevere palla e far partire l'azione. A quanto dice l'indicazione principale del suo allenatore è stata di alzare la palla solo quando non c'è nessun'altra opzione, quindi il suo stile di gioco è molto da tiqui-taca, con scarichi veloci palla a terra sul compagno smarcato più vicino. Tende abbastanza al possesso e all'orizzontalità, ma quando il Velez deve alzare i ritmi dimostra di non aver problemi a giocare in verticale velocizzando i tempi.
Tecnicamente presenta un destro raffinato nel controllo, continuità e precisione nei passaggi e visione. Non usa praticamente mai il sinistro. Malgrado il fisico sa eludere il pressing con la tecnica e un buon dribbling sullo stretto. Non ha progressione nè particolare propensione a spingersi in avanti, si fa trovare però spesso pronto al tiro sui palloni ribattuti appena fuori area. Ha una buona personalità e non ha paura di cercare il tiro da lontano, che però deve ancora migliorare.
Oltre alle esperienze nel club, vanta anche la convocazione nella selezione Under 20 dell'Argentina nel 2013.

Come idea è un giocatore che può ricordare Marco Verratti, pur avendo uno stile di gioco differente e dovendo ancora crescere. Il suo impatto in Europa dipenderà anche dallo sviluppo fisico. Per com'è oggi potrebbe diventare un ottimo elemento o migliorando nella rapidità e quindi in fase difensiva o aggiungendo fosforo al suo possesso palla.
L'età e la serietà sono dalla sua, servirà una squadra che creda in lui e gli fornisca il contesto migliore per esprimersi.

4 nov 2013

Il Milan e le faide societarie


Un vecchio detto recita che piove sempre sul bagnato e le dichiarazioni di Barbara Berlusconi post Milan-Fiorentina non fanno che confermare la lungimiranza della saggezza popolare.
L'Ansa riporta che Barbara, in un colloquio col padre Silvio Berlusconi, ha chiesto un deciso cambio di rotta nella gestione della società, notando che nelle ultime due campagne acquisti il club non ha speso poco ma male. I motivi dell'attuale crisi rossonera sarebbero stati individuati nella mancata programmazione, nell'assenza di una moderna rete di osservatori e in una campagna acquisti e cessioni estiva errata, che non ha tenuto conto delle indicazioni della proprietà.
Parliamo di cose evidenti a chiunque segua il campionato con un'infarinatura di luoghi comuni sempre comodi sullo scouting e sui giovani.

Ciò che mi lascia perplesso è che Barbara Berlusconi non è esattamente elemento esterno al Milan. Fa parte dell'organigramma societario dall'Aprile 2011, risultando Consigliere Incaricato con Delega ai Progetti Speciali, e ha per forza di cose un rapporto diretto se non privilegiato col proprietario e Presidente onorario nonchè col Vice Presidente.
Ha preso atto di tutti questi errori di gestione all'improvviso una notte di Novembre 2013? Non è mai stata interpellata nelle scelte malgrado il ruolo? Non ha mai trovato il modo di discutere coi dirigenti nonostante il peso del suo cognome? Alternativamente, è stata la Cassandra degli ultimi 2 anni di gestione (a spanne), unica a ergersi contro una dirigenza allo sbando, inascoltata per motivi insondabili, o meglio per la miopia e l'arrogante chiusura ai consigli esterni?
Difficile credere alla sua totale estraneità, di sicuro si vuole costruire a Barbara un'immagine pulita. Chi si ricorda della famosa ricerca che spinse il padre a trattenere Thiago Silva? Anche quella notizia volta a dare un ruolo positivo a una figura fino a quel momento più da gossip che altro. Lei, emanazione di Silvio, è il bene del presente e del futuro del Milan. Altri, che fanno danni, sono il male e probabilmente hanno fatto il loro tempo.
La divisione interna è evidente dalla chiusura della notizia precedente. Le indicazioni della proprietà sono state corrette, hanno sbagliato tutto gli esecutori. Per quanto poi arrivino smentite difficile pensare che non ci si riferisca al Vice Presidente Vicario e Amministratore Delegato Adriano Galliani col fido Direttore Sportivo Ariedo Braida. Altrettanto difficile pensare che quanto dice la figlia non sia concordato col proprietario Berlusconi, che magari certe cose non può dirle per motivi personali.

In un momento tecnico difficilissimo forse l'ultima cosa che poteva servire era il mettere in piazza gli scontri in atto (da qualche anno, pare) dietro le quinte. Allegri, uomo di Galliani, che già aveva pochi motivi di stare sereno, adesso è definitivamente sulla graticola.