20 dic 2014

Le finali di Coppa Intercontinentale

La Coppa Intercontinentale è da sempre una competizione con un fascino a parte. Si scontrano calci diversi, culture diverse, mondi diversi, storie diverse. Tutte cose chiaramente elevate all'ennesima potenza quando c'erano di mezzo viaggi lunghissimi, magari in nave, alla scoperta di città, stadi e giocatori conosciuti solo di nome, quando andava bene.
Oggi formalmente non esiste nemmeno più, assorbita dal più globalista Mondiale per Club, e proprio da questo possiamo partire per trovare le finali più particolari.
La vita della Coppa Intercontinentale può essere divisa in tre fasi: la nascita, l'era moderna e l'assorbimento.

La competizione nasce nel 1960, come questione tra UEFA e CONMEBOL per stabilire la squadra più forte delle due federazioni, e quindi a quei tempi (ma pure oggi a voler ben vedere) del mondo. Fino al 1979 la sfida tra la vincitrice della Coppa Campioni e quella della Copa Libertadores vedrà partite di andata e ritorno, giocate ovviamente negli stadi di casa dei rispettivi campioni. Una formula ai limiti del sostenibile per i tempi, ma che trasuda fascino e storia ancora oggi.
Gli anni sessanta rappresentano l'età dell'oro della manifestazione. Miti a profusione, blasone a ogni livello, ambientazioni diventate patrimonio del calcio, contese di puro agonismo con protagonisti leggendari. Già per chi la viveva questa coppa rappresentava qualcosa di unico, soprattutto nel versante più caliente che è da sempre quello sudamericano. Non è un caso che ancora oggi siano proprio i sudamericani a dare un peso significativo alle competizioni derivate.
La prima partita è stata Real Madrid-Peñarol, e non servono particolari presentazioni.
I nomi più particolari del decennio si vedono nel 1967 con Racing (che schierava a centrocampo un certo Alfio Basile)-Celtic e nel 1970 con Feyenoord-Estudiantes (con in campo la Bruja Juan Ramon Veron, Carlos Bilardo e Jorge Solari, zio di Santiago).
Con gli anni settanta però la competizione entra in una fase di crisi, a causa di problemi legati alle date e agli animi caldissimi dei tifosi. Male per la coppa, benissimo per il nostro viaggio, che si arricchisce di casi particolari.
Nel 1971 l'Ajax rifiuta di partecipare al torneo per evitare gli stessi problemi di ordine pubblico affrontati dai rivali di Rotterdam un anno prima. La sfida vede quindi in campo i vicecampioni di Europa del Panathinaikos e il Nacional di Montevideo.
Nel 1973 ancora l'Ajax rifiutò di partecipare, dopo aver vinto nel 1972, chi dice per problemi finanziari chi per l'inadeguatezza dei premi partita. Inizialmente anche la Juventus vicecampione rifiutò, ma alla fine si giunse al compromesso di una partita unica disputata all'Olimpico di Roma. Che la Juve perse, contro l'Independiente di Daniel Bertoni.
Nel 1974 tocca al Bayern Monaco rifiutare la partecipazione. L'Atletico Madrid, con in campo Javier Irureta e in panchina Luis Aragones, riuscirà a imporsi sull'Independiente diventando il primo ed unico club a vincere l'Intercontinentale senza aver vinto la competizione necessaria a parteciparvi.
La finale del 1975 non si disputò a causa di un mancato accordo sulle date.
Nel 1977 ancora una volta i campioni d'Europa declinarono l'invito. Stavolta toccò al Liverpool, che mandò il Borussia Mönchengladbach a scontrarsi col Boca Juniors.
Nel 1978 la gara salterà per problemi di date.
Nel 1979 abbiamo la finale più strana di sempre. A causa del solito rifiuto, al posto del Nottingham Forest a sfidare l'Olimpia de Asuncion si presentò il Malmö.

Nel 1980 inizia la fase moderna della manifestazione. La Toyota si presenta come sponsor principale e trasferisce la sfida in una gara unica da tenersi in Giappone. Questa mossa privò le squadre del calore del pubblico di casa, ma portò ben altra rilevanza economica. In quell'anno si sfidarono Nacional e Nottingham Forest.
Il 1981 vide non a caso la prima partecipazione del Liverpool, che però dovette inchinarsi al Flamengo di Zico e Junior, per il primo e unico titolo del Mengão.
Nel 1983 si incontrarono Gremio e Amburgo, con in campo Felix Magath.
Nel 1986 ci furono due debuttanti, la Steaua Bucarest di Victor Pițurcă e il River Plate di Nery Pumpido e Oscar Ruggeri.
Nel 1987 la sfida fu tra il Peñarol, con Diego Aguirre in campo e Oscar Washington Tabarez in panchina, e il Porto di Rui Barros, ma soprattutto di Rabah Madjer. Si giocò sulla neve.
Nel 1988 ancora il Nacional si trovò di fronte il PSV Eindhoven, che allenato da Guus Hiddink schierava Romario, Ronald Koeman e Søren Lerby.
Nel 1991 è il turno di Stella Rossa-Colo Colo. I serbi, prima squadra del blocco sovietico a vincere, schieravano Sinisa Mhajlovic, Vladimir Jugovic, Dejan Savicevic e Darko Pancev.
Nel 1992 si trovano due debuttanti di un certo livello. Il Barcellona con Koeman, Guardiola, Laudrup, Stoickov e Begiristain, allenato da Cruyff e il San Paolo di Cafu, Toninho Cerezo e Raimundo Souza Viera de Oliveira, detto Raí, fratello minore di Socrates, allenato da Telè Santana.
Nel 1994 un Milan stellare (Tassotti, Maldini, Costacurta, Baresi, Albertini, Desailly, Boban, Savicevic allenati da Capello) perde a sorpresa contro il Velez Sarsfield di un tecnico emergente di nome Carlos Bianchi. In campo per il Fortin Chilavert, el Turu Flores ed el Turco Asad.
Nel 1995 si affrontano l'Ajax di Van Gaal, stracolmo di nomi noti come Van der Saar, Blind, i fratelli de Boer, Davids, Litmanen, Kuivert, Overmars e Kanu e il Gremio di Scolari, con Jardel in attacco e Arce in difesa.
Nel 1997 il Borussia Dortmund di Nevio Scala con Paulo Sosa e Chapuisat affronta il Cruzeiro di un giovane Dida e Bebeto.
Nel 1999 il Manchester United di Gary Neville, Stam, Beckham, Giggs, Scholes, Keane e Solskjær (ma soprattutto di Mikael Silvestre) affronta il Palmeiras di Scolari, con Arce, Junior Baiano, Roque Junior, Junior quello visto al Parma, Cesar Sampaio, Asprilla e quell'Alex che poi ha scritto qualche pagina di storia al Fenerbache.
La finale del 2004, ultima di Coppa Intercontinentale, è stata una divertente beffa della storia. La Champions League aveva visto trionfare il Porto di un impertinente giovane allenatore chiamato Josè Mourinho, evidentemente con la strada spianata dal destino, mentre in Libertadores gli dei avevano deciso di premiare i colombiani dell'Once Caldas. Nei portoghesi, che dovevano essere allenati da Delneri, militavano Vitor Baia, Ricardo Costa, Costinha, Maniche, Diego, Luis Fabiano e Quaresma, mentre per i colombiani si ricordano solo Elkin Soto e Juan Carlos Henao, e il portiere solo per la vittoria in Libertadores. Ugualmente si dovette arrivare ai rigori a oltranza.

Dal 2005 la manifestazione è stata assorbita nel cosiddetto Mondiale per Club, competizione organizzata e fortemente voluta dalla FIFA. Vi prendono parte i vincitori dell'equivalente della Champions League di ogni confederazione (Europa, Sudamerica, Centro-nordamerica, Africa, Asia, Oceania) e dal 2007 anche la squadra campione nazionale del paese ospitante.
Fino al 2008 si è giocato in Giappone, mentre in seguito la sede è scelta dalla FIFA sullo stile del Mondiale per nazioni.
Ma questa è un'altra storia, e dovrà essere raccontata un'altra volta.




18 dic 2014

Joaquin Correa

Joaquin Correa nasce il 13 Agosto 1994 nella provincia di Tucuman, che è la più piccola di tutta l'Argentina. Il suo talento per il calcio viene notato subito dal River, che sul luogo ha una certa attenzione a giudicare dal fatto che ci ha pescato anche Roberto Pereyra e Matias Kranevitter, più o meno della stessa generazione, ma a undici anni decide di tornare dalla famiglia. Un anno dopo è al Club Renato Cesarini di Rosario, da dove lo preleva l'Estudiantes.
Nel 2011 si impone come miglior talento delle giovanili e l'anno dopo a diciassette anni fa il suo esordio nella prima squadra. Dal 2012/2013 è un effettivo della rosa, trovando in totale sessanta presenze con cinque gol.

Il tratto distintivo di Correa è l'unione di fisico è tecnica. La sua altezza, 188 cm, lo rende una specie di gigante per gli standard argentini, mentre a livello muscolare è ancora da strutturare. Destro naturale, ha un'ottimo controllo di palla che ama esprimere in dribbling stretti. Non rapidissimo sul primo passo, riesce però a trovare una buona velocità in accelerazione. La sua prima opzione è sempre il movimento verso destra, ma sa dribblare anche sulla sinistra, soprattutto se ha spazio. Ha una buona visione di gioco e propensione agli scambi in fascia, a livello di inserimenti si mostra parecchio carente mentre esibisce un buon tiro dalla distanza.
Come attitudini è un esterno naturalmente attratto dalla fascia sinistra. Tende sempre ad allargarsi, aspettare la palla e cercare l'uno contro uno, possibilmente accentrandosi. Anche i suoi assist nascono dopo il dribbling e premiano spesso tagli e sovrapposizioni. Ha molta personalità nello sfidare l'avversario e sa difendere palla sfruttando fisico e tecnica.

Protetto di Juan Sebastian Veron, è in un certo senso il simbolo del periodo attuale della squadra di La Plata. L'Estudiantes, ovviamente in crisi economica come quasi tutto quello che ha sede in Argentina, dopo aver dominato in patria e in tutto il continente è in fase di ricostruzione. Giocatori come il Tucumano vengono messi in vetrina e valorizzati. Se riescono a fornire un contributo tecnico meglio, altrimenti si cerca la cessione per poi rinforzare la rosa magari con figure locali. Il suo arrivo alla Sampdoria è una conseguenza, e non è un caso che il contratto abbia una percentuale anche su un'eventuale vendita futura.

Non si tratta di un giocatore pronto. Sicuro talento, ma tutto da educare, soprattutto per fare l'esterno in Italia e con un tecnico come Mihajlovic. La fase di non possesso è interamente da formare, sia in chiave difensiva che offensiva. Gli manca l'attacco della profondità e l'inserimento in area, così come la copertura difensiva diligente e profonda. Per quanto sia mobile e abile a cercare lo spazio per ricevere palla, non è certo un esterno che macina chilometri in fascia.
Servirà tempo per adattarsi, ma se saprà capire e completarsi il panorama tecnico promette benissimo.

15 dic 2014

Racing campeon!

La vittoria del torneo Transicion oltre a una componente tecnica e di temperamento ha per il Racing una fortissima impronta mistica. E forse era inevitabile per un club con una storia tanto particolare.

Il Racing Club de Avellaneda è una delle cinque grandi d'Argentina, ma i suoi successi sono quasi integralmente legati a un'epoca che possiamo definire remota. La tradizione è gloriosa tanto che il soprannome è Academia (de futbol), retaggio dell'assoluto dominio imposto alla città di Buenos Aires e al calcio argentino tutto agli albori del movimento.
Il momento di maggior gloria sportiva, il 1967 con vittoria di Libertadores e Intercontinentale, coincide con l'inizio della leggenda, che legherà per sempre a un destino particolare la squadra albiceleste. Gli dei del calcio si occuperanno personalmente di rendere imprevedibile e dolorosa la vita sportiva di ogni suo tifoso e dal 1966 vincere un campionato diventerà un tabù assoluto. Come nelle migliori opere greche evidentemente serviva un uomo, un eroe positivo, che mettesse fine al corso negativo degli eventi.
L'indentikit non può che portare a Diego Milito. Nato nel club, era effettivo della prima squadra nel 2001 quando si interuppe un digiuno lungo trentacinque anni e non può essere un caso che oggi, ad altri tredici anni di distanza, il secondo titolo dell'era moderna sia arrivato proprio nella stagione del suo ritorno. Parliamo di due campionati vinti in quarantotto anni in una terra, calcistica e non, in cui la mistica ha una forza tutta sua.

Milito non può che essere l'uomo copertina, soprattutto in Italia. Elemento di assoluta gerarchia per classe, capacità, esperienza nel club e vittorie oltrechè capitano, è chiaramente su di lui che si concentra l'aspetto storico di questo titolo. Tornato ancora in grado di pescare dal suo grande talento abbastanza giocate da produrre sei gol, è stato il riferimento assoluto della fase offensiva. Si è gestito a livello fisico, sfruttando esperienza e capacità di lettura per capire quando accelerare, dare un segno, scoccare la freccia decisiva.
La formazione che ha vinto con quarantuno punti, vincendo tredici partite su diciannove, va però oltre anche a un singolo come il Principe.
Il tecnico Diego Cocca nel Giugno 2014 ha preso in mano una squadra che definire in difficoltà è un leggero eufemismo. Nel 2013/2014 il Racing si era infatti posizionato penultimo nell'Inicial e terz'ultimo nel Final, risultando addirittura ultimo assoluto nella sommatoria dei due campionati, con trentatrè punti totali e otto vittorie su trentotto incontri. L'ennesimo progetto naufragato degli anni recenti dell'Academia, in cui si sono viste diverse volte squadre anche piene di talento perdersi totalmente per motivi ancora una volta misteriosi. Chiedere a Diego Simeone per informazioni.

Questo Racing non era fatto per vincere. Archiviata l'idea di costruire una base futuribile sui talenti delle giovanili, si è puntato su ritorni (Pillud, Centurion, Hauche, Milito) e su una squadra più esperta e solida. Il modulo è un 4-4-2 in linea tendenzialmente sbilanciato da un lato. Sugli esterni del centrocampo troviamo infatti due giocatori con caratteristiche quasi opposte: di solito a destra viene schierato un uomo più difensivo e di copertura, mentre sull'altra fascia giostra el Wachiturro Centurion, incaricato di portare palla e inventare. Il numero dieci, meteora del Genoa classe '93, è il terzo d'attacco e il quarto di centrocampo e svolge un ruolo da collante fondamentale. Statisticamente non ha avuto grande impatto, ma nel gioco è stato una pedina determinante, oltre a togliersi la soddisfazione del gol che ha portato il titolo.
Il modulo quindi si presta a diventare un 4-3-3, anche grazie alla grande mobilità delle due punte, entrambe in grado di agire sia da centravanti che come rifinitori ed abili ad allargarsi.
Gustavo Bou è senza dubbio il secondo uomo-copertina di questo titolo. Ex pibe del River, classe 1990, ha trovato molte difficoltà ad esprimersi sul campo, cambiando quattro squadre senza lasciare ricordi particolari. La sua esplosione è coincisa con l'inizio della cavalcata del Racing, che non era partito benissimo in campionato, e ha una data precisa: settima giornata, Boca-Racing, decisa da una sua doppietta. Non si fermerà più, chiudendo a dieci reti in dodici presenze e mostrando ottima intesa e intercambiabilità col referente che indossa il numero ventidue.
Il cuore del Racing di Cocca tuttavia si trova nella fase difensiva e nella lotta a centrocampo, di cui Ezequiel Videla, classe '88 arrivato in estate su precisa richiesta del tecnico, è il leader carismatico, il trascinatore sul campo. Lo si trova ovunque a tamponare ed è sempre pronto a farsi vedere per giocare palla. Un mediano encomiabile sia per sacrificio che per geometrie, che ha dato tutto e anche di più in un semestre straordinario. A sorpresa è diventato il simbolo di una squadra costruita su una difesa arcigna e instancabile, che ha chiuso il campionato con sedici gol subiti, terzo miglior passivo.
Il risultato caratteristico di Cocca è l'1-0, che si è ripetuto sei volte, possibilmente con gol di Bou.
Dieci volte la squadra è riuscita a mantenere la porta inviolata, tra cui le ultime sei giornate consecutive e otto delle ultime nove.
Altro giocatore visto in Italia oggi campione d'Argentina è Leandro Grimi, ormai ventinovenne.

C'è uno spartiacque preciso nella stagione dell'Academia, ed è come per i gol di Bou la partita alla Bombonera. Nelle prime sei giornate sono infatti arrivate tre delle quattro sconfitte stagionali, e ben dieci dei sedici gol subiti. Un cambio di marcia impressionante.
Se tutto è cominciato alla Bombonera, la partita del titolo è Racing-River. Per quanto condizionata dal turnover integrale di Gallardo, in quella giornata c'è stato il sorpasso decisivo, che la banda non è più stata capace di colmare.
L'Academia, una volta tanto, non è riuscita ad autodistruggersi. Le facce dei tifosi al Cilindro all'annuncio del gol del River all'ultima giornata dicevano tutto della storia, del passato e della paura della suprema beffa. Ma la mistica per questo semestre indicava la via del trionfo.

9 dic 2014

L'Empoli di Sarri

Non starà dominando la Serie A, ma l'Empoli di Sarri è una delle più piacevoli sorprese guardando il campionato sotto l'ottica del calcio giocato.
A leggere la formazione, più che sembrare una squadra di Serie B l'Empoli è una squadra di Serie B. I titolari sono grossomodo gli stessi che hanno conquistato la promozione un anno fa, che però stanno dimostrando di poter valere la massima divisione,
Tutti fenomeni più o meno incompresi o grande lavoro dell'allenatore?

Maurizio Sarri, classe 1959, giunge alla guida dell'Empoli nel 2012, firmando un contratto annuale. Alle spalle una lunga gavetta fatta di alterne fortune, esoneri e subentri. Il rapporto con la squadra non decolla subito, ma superate le difficoltà iniziali ottiene i play-off nel 2013 perdendo in finale col Livorno. Arriva quindi il rinnovo biennale e il secondo posto nel 2014, con promozione diretta.
Il tratto distintivo della cavalcata alla Serie A è l'impianto di gioco offensivo. L'Empoli chiude il campionato col terzo migliore attacco, cinquantanove gol segnati, in cui spiccano Massimo Maccarone, secondo migliore negli assist con dodici passaggi decisivi (conditi da quindici gol), e Francesco Tavano, secondo miglior marcatore del campionato con ventidue gol. Una coppia di trascinatori devastanti in categoria con anche il pregio di avere radici proprio in questa squadra, ma che oltre alla qualità individuali beneficia dell'impianto collettivo.
A testimonianza di questo vengono valorizzati dei talenti magari un attimo più lenti a sbocciare, o già presenti in rosa o appena arrivati. Il primo è Riccardo Saponara (1991), che grazie al gioco di Sarri farà il grande salto al Milan, ma nel 2013/2014 trova un suo posto anche Simone Verdi (1992), cinque gol e sette assist, da sempre considerato una promessa, ma sostanzialmente inesistente tra Torino e Juve Stabia. Soprattutto Mirko Valdifiori, un classe '86 con oltre duecento presenze nell'Empoli, all'improvviso diventa regista illuminato e preciso, che sull'esempio dei grandi del ruolo tipo Verratti non segna mai, ma mette otto assist.

Giunti però al 2014/2015 lo abbiamo pensato tutti. Un conto è la B un altro la A. Il gioco non potrà mai essere lo stesso e i due referenti Tavano e Maccarone annasperanno come sempre negli ultimi anni di carriera al top. Con un mercato estremamente limitato e senza alcun innesto di livello più alto il destino è segnato.
Invece Sarri ha portato avanti la sua squadra e le sue idee, dimostrando che col giusto materiale si può lavorare.
Il modulo è 4-3-1-2 che può diventare 4-3-3. L'idea è far girare la palla tanto, tenendola a terra, possibilmente in zona centrale, sfruttando scambi corti e di prima. Il possesso medio è oltre il 50%, i lanci lunghi limitatissimi. Il classico impianto di gioco che, comunemente, è possibile mettere in piedi solo con grandissimi giocatori ad altissimo livello. La formazione titolare dell'Empoli invece ha l'ossatura della B, venticinque anni di media, di solito solo due over 30 titolari e una scarsissima esperienza in A. Sarri va coi suoi uomini, cambiando il meno possibile, perchè lo conoscono e sanno quello che chiede, e per quanto si soffra di più e si faccia più fatica a segnare ad oggi ha accumulato quindici punti trovando anche risultati come i pareggi con Milan e Napoli, la vittoria sulla Lazio e il passaggio del turno contro il Genoa in Coppa Italia.

I protagonisti sono diversi, ma si può identificare una verticale precisa.
La difesa, portiere compreso, è il reparto più giovane: contando anche il portiere Sepe, il più anziano è Lorenzo Tonelli, classe 1990. Il ragazzo di Firenze è oggi uno dei giocatori più famosi della squadra grazie ai tre gol messi a segno in questo inizio di campionato, ma Tonelli è soprattutto il leader del reparto, un difensore moderno che abbina alla fisicità un'ottima capacità di giocare la palla, anche sotto pressione. Sarri gli chiede chiaramente di far partire l'azione con personalità e qualità, anche prendendo dei rischi. In altri contesti, probabilmente giocherebbe mediano difensivo. La sua capacità nel gioco aereo invece lo rende un pericolo quando si sposta in area avversaria, non a caso è già in doppia cifra di gol in carriera.
Di fianco a lui è cresciuto e continua a crescere Daniele Rugani, classe '94 anche lui col vizio del gol convocato addirittura in nazionale maggiore da Antonio Conte.
A centrocampo il dominatore è Mirko Valdifiori. I quasi ottantaquattro passaggi di media a partita (con solo cinque lanci lunghi) testimoniano il suo ruolo centrale nello sviluppo del gioco. Tutte le azioni passano da lui, a volte in modo anche troppo insistito, e lui distribuisce, anche con una certa efficacia visto che è il secondo dell'intera Serie A per passaggi decisivi di media, primo per numero totale e ha firmato quattro assist.
In attacco la sorpresa è Manuel Pucciarelli (1991). Già protagonista in B, ha migliorato il suo rendimento col cambio di categoria prendendo spesso il posto di uno dei due mostri sacri davanti. Destro raffinato, fantasia, qualità soprattutto palla al piede, gusto per il dribbling, ma anche una certa capacità tattica e di sacrificio grazie ai suoi trascorsi da centrocampista offensivo. Da attaccante moderno, in grado di svariare su tutto il fronte e di adattarsi ai vari ruoli, sembra aver trovato la sua dimensione. Al momento è il miglior marcatore della squadra insieme a Tonelli e il suo unico vero limite sembra un cognome troppo verace per il calcio di alto livello. Lo striscione con scritto "Pucciarinho" fa capire quanto sia apprezzato dai suoi tifosi.

L'Empoli non vincerà il campionato e di sicuro vivrà momenti difficili. Ma Sarri sta dimostrando che si può fare calcio prendendo un gruppo di ragazzi, credendo nelle loro qualità e inserendoli in un contesto ben preciso, che può essere votato al gioco e al possesso anche senza cognomi di grido.
Tutto questo in Serie A, dove spesso ci dicono che è impensabile.
Forza Empoli.