1 lug 2016

Pekerman LCDTH

Fidarsi delle dinamiche del calcio sudamericano è sempre un errore, persino banale per chi è abituato a seguirne gli avvenimenti. Evidentemente però c'è qualcosa di scritto nel dna di noi europei che ci porta a cercare pattern precisi, ripetizioni a cui aggrapparci e quindi sempre a cadere in questo errore, e parlare di conseguenza.
Nello specifico, mai giudicare le competizioni da quanto succede nei gironi. Mai. La Libertadores fa scuola in senso assoluto, ma anche questa Copa America Centenario porta chiarissimi moniti. Il Cile, per dire, sembrava la copia sbiadita della squadra vincitrice solo un anno fa e ha dominato la parte più difficile del tabellone della fase a gironi. C'è anche l'esempio opposto: la Colombia è partita forte, ma è durata praticamente una gara e mezza, seguendo il vecchio detto della candela che si scioglie prima bruciando troppo forte.

Parlare della squadra di Pekerman è necessario perché aveva illuso tutti, soprattutto chi scrive, di essere tornata. Buttare via praticamente tutto quando servivano conferme non può che meritare insulti, maledizioni e improperi. Anche perché qualcuno potrebbe avere con l'allenatore argentino un conto aperto fin dai Mondiali 2006.
Chiariamoci, uscire contro il Cile, questo Cile, in semifinale è più che lecito ed è difficile da considerare un fallimento. E la Colombia ha anche vinto la finalina di consolazione contro gli USA, chiudendo quindi la Copa al terzo posto. Però dopo le prime esibizioni questa squadra sembrava poter fare di più. Magari non vincere, ma quantomeno rappresentare un ostacolo degno per la Roja di Pizzi invece di scomparire dal campo dopo appena quindici minuti.

Impossibile chiudere gli occhi rispetto alle colpe di Pekerman. Lui, il vecchio maestro argentino, il grande architetto dietro la rinascita calcistica della Colombia di questi anni ogni volta che la sua squadra arriva alla fase ad eliminazione sembra entrare in modalità panico: puntualmente cambia spartito, rivoluziona la formazione anche se non soprattutto negli aspetti cardine del gioco e finisce per pagare con l'eliminazione.
Una tendenza quantomeno curiosa: Pekerman ha sempre messo mano ai suoi titolari quando è arrivato oltre i gironi, portando la Colombia a cambiare interpreti e anche gioco di conseguenza. E praticamente mai questi cambi hanno portato a qualcosa di positivo. Va bene studiare l'avversario e adattarsi, ma perché minare i propri punti di forza? La Colombia, specie questa generazione, non è certo una selezione tanto debole da dover temere così tanto i rivali.

Si parte dai Mondiali 2014. La Colombia è la sorpresa del torneo, e ha in James Rodriguez il giocatore rivelazione. La demolizione dell'Uruguay agli ottavi apriva prospettive di gloria alla selezione di Pekerman. Anche se i quarti vedevano come sfidante il Brasile padrone di casa i Cafeteros sembravano una squadra in missione con possibilità illimitate. Il ct senza apparente motivo inserisce Guarin tra i titolari rinunciando al fedelissimo Aguilar, il giocatore geometrico della mediana, perdendo riferimenti e squilibrando la formazione. Il risultato è una sconfitta per 2-1 (pur con l'alibi di un arbitraggio rivedibile) contro un Brasile che pochi giorni dopo andrà incontro a una delle peggiori disfatte della sua storia.

Nella Copa America 2015 la Colombia non ha certo brillato nei gironi, arrivando comunque a qualificarsi alla fase ad eliminazione. Perkerman per le partite contro Brasile, Venezuela e Perù aveva scelto di dare minuti e titolarità a Falcao per cercare il recupero del 9, mettendolo praticamente davanti a tutto. Arrivato ai quarti contro l'Argentina il ct però inverte la rotta decidendo di non rischiare più, stravolgendo tutta la formazione: da un 4-4-2 più o meno falso con due mediani, James e Cuadrado sulle fasce e la coppia d'attacco Teofilo-Falcao Pekerman è passato a una sorta di 4-1-3-2 con un solo centrocampista di ruolo (Mejia), Ibarbo-James-Cuadrado a inventare e in attacco due punte come Teo e Jackson Martinez. E pure Arias, un destro naturale, come terzino sinistro al posto di Armero (che è discutibilissimo, ma per la Colombia era un leader). Una soluzione così convincente che la prima sostituzione è arrivata al minuto 23 del primo tempo.

Infine c'è questa Copa America Centenario. La Colombia si era presentata con una bella idea di gioco basata su un 4-2-3-1 asimmetrico, con Cardona a sinistra a cercare spazi e combinazioni e soprattutto l'inserimento a centrocampo di Seba Perez, un centrocampista dinamico e moderno che finalmente rompeva il classico schema di Pekerman di due mediani statici sostanzialmente monofase. Dai quarti ovviamente Perez è uscito dal campo. Al suo posto dentro Carlos Sanchez, mediano purissimo. Una mossa che ha portato a una clamorosa perdita di opzioni nella manovra, un appiattimento del gioco che ha facilitato molto il lavoro del Perù e soprattutto del Cile (contro cui Sanchez si è fatto pure espellere). La disastrosa scelta di Fabra come terzino sinistro, uno che nel Boca non gioca sempre proprio per lacune difensive e infatti è stato arato dai cileni, è stata dettata dalla necessità, quindi non va sulla coscienza del ct.

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