16 ago 2016

L'Atletico Paranaense, una squadra di peso

Disclaimer: questo post mira a mettere in risalto la scarsa condizione atletica di calciatori professionisti. Chi ritenesse questa operazione irrispettosa o scorretta per qualsivoglia motivo può smettere di leggere in questo momento.

L'Atletico Paranaense è una squadra di Curitiba che nel 2001 ha addirittura vinto il Brasileirao. Oltre quell'exploit il club non è esattamente ai vertici del calcio brasiliano, però negli ultimi tempi viaggia a buoni livelli. Attualmente, per dire, è al settimo posto del campionato 2016 con più punti di club con ben altro blasone come Fluminense, San Paolo, Internacional e Cruzeiro.
In Italia il nome del Furacão ogni tanto circola perché i suoi mediani titolari, Otavio ed Hernani, sono prospetti interessanti. A veder giocare l'Atletico però più che il talento dei due giovani saltano all'occhio le dimensioni di altri titolari. E con dimensioni intendo larghezza e girovita.

Il tratto distintivo dell'Atletico Paranaense, più che la qualità del gioco o la tattica, è proprio la condizione fisica di diversi giocatori, rivedibile ad essere gentili, non solo titolari, ma pure referenti tecnici con carisma e peso calcistico come minimo pari a quello indicato dalla bilancia. Una situazione quantomeno curiosa, che magari testimonia la qualità del cuoco del club, ma getta sinistre ombre sul preparatore atletico e sulla gestione tecnica dell'allenatore in generale.

Il massimo esponente della categoria è Walter Henrique da Silva. Giocatore con una storia personale difficilissima, cresciuto tra fame e violenza, il numero 19 è il punto di riferimento assoluto della squadra, il migliore dal punto di vista tecnico e il referente della fase offensiva. Visto che di mestiere fa la punta parlare di centravanti boa viene fin troppo facile, ma il tratto distintivo di Walter in realtà è il suo essere giocatore tecnico, anche dinamico, sempre pronto a svariare e proporsi. Intrappolato però in un fisico da mangiatore di hot dog competitivo, malgrado sia un classe '89.
Lui stesso ha dichiarato di avere un problema coi dolci e le bibite gassate, cosa che rende per lui praticamente impossibile arrivare a una condizione fisica veramente accettabile. Può limitarsi, ma niente di più. A Curitiba però va bene così, perché Walterror da due anni è una delle cose più belle da vedere in campo in maglia rossonera. Forse proprio per la dicotomia assoluta tra tecnica di altissimo livello e fisico da divano.


Se il tuo miglior giocatore dà questo genere di esempio e ha queste concessioni la situazione può degnerare, specie in Brasile. E a Curitiba è degenerata.



In attacco come centravanti di riserva nel 2016 è arrivato André Lima, uno che ha giocato in 15 squadre diverse toccando anche l'Europa con l'Herta Berlino e la Cina. Oggi entra in campo o per dare il cambio a Walter o per permettergli di giocare più arretrato. Il sospetto che più che sugli uno-due siano forti su primo-secondo è decisamente fondato.



Sempre in attacco gioca anche Maycon Vinicius Ferreira da Cruz, detto Nikão. Numero 11, attaccante esterno mancino classe '92 è il complemento ideale per chiudere il tris di primi.

Altro reparto in condizioni critiche è la difesa. Qui tre titolari su quattro sembrano impegnati in una sfida a chi raggiunge prima la tripla cifra.



Thiago Heleno è un classe '88 con esperienza in diversi club brasiliani e persino nelle selezioni giovanili del Brasile. Col numero 44 è il leader della difesa e quello che conduce l'attacco al buffet degli antipasti.

Sodali col loro leader ci sono i due terzini, Leo e Sidcley. Il primo, esterno destro, testimonia come l'ambiente rovini il singolo: classe '91 proveniente da esperienze al Flamengo e all'Internacional nelle squadre precedenti si presentava nettamente più snello. Ora il declino avanza.



Su Sidcley il discorso va approfondito. Il mancino classe '93 è un vero talento del ruolo per fisico e capacità offensive, con un piede educato e potente. Bisogna però tenerlo lontano dai fritti.



Se fate una ricerca per immagini su un qualunque motore troverete molte altre testimonianze della loro pinguetudine.
I due mediani, Otavio ed Hernani, sono praticamente i giocatori nelle migliori condizioni della squadra. E casualmente anche quelli deputati a tenere in piedi la baracca.
In queste condizioni l'Atletico Paranaense nel 2016 ha vinto il suo campionato regionale, regolando nella doppia finale con un 5-0 complessivo il Curitiba. Tra i marcatori Walter e Thiago Heleno.
Chissà poi la festa.

7 ago 2016

Teofilo Gutierrez



“Aveva la pelle screpolata dalle intemperie, i capelli corti e ritti come i crini di un mulo, le mascelle ferree e lo sguardo triste. […] Era José Arcadio. Veniva povero come se n'era andato. Parlava uno spagnolo mescolato al gergo dei marinai. Gli chiesero dov'era stato e risposte -Qui e là-. Appese la l'amaca nella stanza che gli avevano assegnato e dormì per tre giorni.”
Gabriel Garcia Marquez, "Cent'anni di Solitudine".

José Arcadio è il figlio del fondatore di Macondo, José Arcadio Buendìa, ed è tornato al villaggio dopo aver girovagato per anni con gli zingari. Nel giro di pochissimo tempo, ricoprirà di scandalo il buon nome dei Buendia e verrà cacciato di casa.
Teofilo Gutierrez ha molto in comune con lui: ha i capelli corti e ritti come i crini di un mulo, ha le mascelle ferree e talvolta pure lo sguardo triste. I due condividono la sorte di essere nati colombiani e con lo stesso nome di battesimo del padre. Non si tratta di due colombiani qualsiasi, sono colombiani all'ennesima potenza: il primo è nato dall'impasto tra l'inchiostro e le visioni del più grande scrittore della storia del Paese, il secondo è un ragazzo profondamente intriso dell'odore del contesto che lo ha cresciuto.
Entrambi sono sprofondati nell'eccesso e nello scandalo, hanno affrontato senza limiti loro stessi e chi stava loro intorno, se ne sono andati e sono ritornati, per poi rimettersi in spalla i bagagli e ripartire nuovamente verso una meta qualsiasi.
Nella sua Macondo Teo Gutierrez ci è già tornato e dopo poco è ripartito, ma oggi è a un passo da ritornare in un altro villaggio che ne ha conosciuto la mastodontica grandezza. Non quella fisica di José Arcadio, ma quella emotiva, quella mancanza di misura con la quale sfonda il muro dell'ordinarietà, dentro e fuori dal campo. Inutile dire che uno così viaggia alle proprie condizioni anche quando ha la palla tra i piedi e che la mastodontica grandezza è anche quella del suo talento, se si è svegliato con il piede giusto. Il villaggio che lo attende si chiama Argentina e questo capitolo della sua storia è ancora tutto da scrivere.

Barranquilla

Teo Gutierrez nasce tra le braccia della povertà a La Chinita, uno dei barrios più violenti della città di Barranquilla. La miseria ha trasformato questo quartiere nell'arena delle faide sanguinose tra le pandillas locali e ha reso l'auspicio di vivere un'esistenza serena a La Chinita una pretesa oltre i limiti dell'impossibile, tanto che nemmeno i taxi osano addentrarsi da quelle parti. Teo cresce in questo tremendo barrio sulla riva del Rio Magdalena e ai margini della società, imparando a vivere, ma soprattutto a non morire.
“Se non stai attento, qui ti mangiano” dirà molti anni più tardi.
Come tutti i ragazzini che crescono nella povertà in Sudamerica, anche per Teo arriva il giorno in cui deve rispondere alla domanda che, in un modo o nell'altro, avrebbe delineato buona parte della sua futura esistenza: ¿bala o pelota? Pallottola o pallone? Fortunatamente, suo padre Teofilo Sr aveva già scelto per lui, regalandogli la sua prima palla da calcio e affidandolo all'età di sette anni alle mani di Franklin Ramirez, maestro di fútbol di Barranquilla che viveva ogni giorno la missione di tenere i bambini indigenti lontani dal vizio attraverso il calcio. Tra le fila dell'Independiente Framy, il piccolo club di Ramirez, Teo esprime tutto il proprio viscerale amore per il pallone, che per fortuna è reciproco: il figlio dei Gutierrez gioca splendidamente e all'età di quindici anni, mentre il suo talento si fa sempre più nitido, cerca una chance nelle inferiores del Junior, la squadra più importante di Barranquilla.
Ad attenderlo sul campo d'allenamento delle inferiores c'è William Eduardo Knight, ex giocatore della Nazionale colombiana a metà degli anni Ottanta e tecnico giovanile per l'equipo costeño. Teo viene presentato dal padre come un numero dieci, ma l'ex Cafetero non gli dà retta, perchè non appena lo vede giocare, riconosce in lui un attaccante potenzialmente fenomenale. Lo cambia subito di ruolo e d'un tratto la sua mobilità, il suo tocco educato e la sua grinta vengono espressi in funzione della sua caratteristica principale, mai celata nemmeno da trequartista: saper fare gol. A diciannove anni viene mandato al Barranquilla FC, la succursale dei Tiburones in seconda divisione, dove incontra un ancora anonimo Carlos Bacca e debutta da calciatore professionista, mettendo a segno sedici reti in quaranta partite.
Il destino di Teo Gutierrez è la sua Macondo, è il Junior, che l'anno seguente gli consegna sia la maglia numero 38 che l'occasione di segnare il proprio primo gol nella massima serie colombiana, freddando con una zampata da attaccante di alta classe il portiere dell'Once Caldas. Nonostante questa gioia, i primi tempi sono duri, seduto costantemente in panchina sognando di avere le chance per diventare forte come Ibrahimovic e Valderrama. Tutto questo fino all'arrivo di un uruguayo sulla panchina del Junior: è Julio Avelino Comesaña, che su di lui piazza e vince la propria scommessa.
Teo dimostra fin da subito che il compromesso non è parte di lui: nelle partite in cui è in forma rompe letteralmente le reti e mette a referto triplette con frequenza sufficiente per guadagnarsi il soprannome di “Triofilo”, ma quando scende in campo con la luna storta c'è solo il buio. Ciò su cui è impossibile dibattere è un'altissima predisposizione per caratteristiche ad essere un top: movimenti frutto di un cervello calcisticamente finissimo e piedi ottimi (le due piacevolissime sorprese che si riscontrano negli attaccanti con un passato da fantasisti), accompagnati da un'attrazione magnetica per la porta. Figlio di Barranquilla e figlio del gioco, due ingredienti che portano tanta allegria all'Estadio Metropolitan. Il 2009 è il suo anno, dentro e fuori dal campo: nel primo semestre segna sedici reti e porta il Junior fino alla finale del campionato, persa contro l'Once Caldas, mentre nel secondo semestre rischia di replicarsi infilando altri quattordici palloni nel sacco. La sua gente lo ama alla follia, complice il viscerale attaccamento alla maglia e alla città, dove deciderà sempre di tornare prima di prendere una decisione o dopo aver sfidato tutto ciò che ha intorno.
Barranquilla è nel cuore di Teo e, dopo anni di calcio di vertice nazionale, chi è nel cuore di Teo è a Barranquilla: finalmente, infatti, l'attaccante riesce a mantenere la promessa fatta alla mamma diversi anni prima, quella di portare lei e il resto della famiglia fuori dal barrio La Chinita. Si chiude così il cerchio della prima fase della carriera di Teofilo Gutierrez.

Locuras

L'anno successivo, la svolta: il Trabzonspor decide di mettere sul piatto quattro milioni e mezzo di dollari per portarselo a Trebisonda e godere dei suoi gol. Teo arriva in Turchia e si presenta con la sua specialità: la tripletta, che inflitta al Bursaspor è la chiave per sollevare il primo trofeo della sua carriera, la Supercoppa Turca. Il bel tempo si vede dal mattino? Neanche per sogno, perché Teo non riesce a integrarsi e nel giro di poco realizza di volersene andare. Forse perché per un colombiano parlare di “Antioquia” con un turco è la via più breve per fraintendersi, forse perché le scintille iniziali non sono state seguite dalla titolarità che pretendeva, forse perché le sirene inglesi del Liverpool squillate dopo l'incontro europeo gli hanno messo in testa altre prospettive, ma il dato di fatto è che Teofilo Gutierrez non vuole perdere altro tempo in Turchia. Il fatto che il contratto firmato, con l'inchiostro ancora fresco, sarebbe valido per i successivi tre anni e mezzo non è certo un deterrente per Teo, che mal si presta all'accondiscendenza: passano nove mesi, e il ventre del puntero partorisce il primo frutto visibile del suo animo sensibile e controverso. La Seleccion Cafetera lo convoca a ottobre per una partita, lui risponde alla chiamata della patria e da lì in avanti smette di rispondere alle chiamate di chi lo cerca dall'altra parte dell'Oceano. Teo non pensa alle conseguenze, Teo resta nella sua Barranquilla e motiva la fuga con dei problemi di salute subentrati a causa della continua esposizione ad ansia e stress. I delegati turchi lo fanno visitare e, stando a loro, l'unico disturbo del costeño sarebbe quello recato alla dirigenza del club con la sua fuga. Il Trabzonspor ingaggia col giocatore un duello sotto gli occhi della FIFA, durante il quale Teo rimane a casa e aiuta sua nonna Aura a preparare le empanadas che avrebbe venduto al negozio di famiglia. Dopo quattro mesi di schermaglie, si profila all'orizzonte una soluzione che avrebbe messo tutti d'accordo: il Racing Club.
A Miguel Angel Russo, tecnico dell'Academia, basta un colloquio per portarlo al Cilindro, carico come non mai. Per la stampa argentina si tratta di un semi-sconosciuto e per questo piovono critiche sulla scelta della dirigenza, ma cinque gol nelle prime cinque partite basteranno a Teo per zittire chiunque avesse dubitato di lui e per conquistarsi l'amore del tifo academico. Il primo semestre lo chiude da capocannoniere, ma il suo carattere fortemente emotivo esplode nuovamente in una lite durante l'allenamento con Mauro Dobler, portiere di riserva del Racing con cui arriva alle mani dopo uno scontro di gioco in partitella. Da quel momento, l'atmosfera intorno a Teo si surriscalda: il suo rendimento si fa sempre più discontinuo e la forbice tra cartellini presi e gol fatti si restringe pericolosamente. Nel 2012 il clima si corrompe definitivamente e in un Clasico perso rovinosamente contro l'Independiente, Teo dà all'arbitro del “carón”, equivalente colombiano per “sfacciato”, ma ovviamente il direttore di gara argentino capisce “cagón” e lo manda negli spogliatoi. Alla fine del match, Sebastian Saja, portiere del Racing e senatore del gruppo, ormai esasperato dal comportamento di Teo, lo attacca verbalmente. La scintilla della lite scoppia e i due arrivano alle mani in un attimo, finché i compagni non li separano a forza. A quel punto, Teofilo Gutierrez estrae dal borsone una pistola giocattolo e minaccia il compagno, lasciando di stucco tutti i presenti. In quel rovente spogliatoio entra anche la polizia e nei giorni seguenti la parabola di Teo Gutierrez al Racing si interrompe definitivamente, nella maniera più illogica. Diventa un “tutti-contro-Teo”, perchè in pochi hanno intenzione di tollerare le follie che la sua spiccata emotività lo porta a compiere quando le situazioni si fanno dure.

Siempre Barranquilla

La legge non scritta di Teofilo Gutierrez è la seguente: se non sei a tuo agio, cerca la felicità altrove, perchè Dio ti segue ovunque vai. La sua fede è incrollabile ed è l'unica certezza insieme alla famiglia, in una vita che, come per ogni sudamericano del barrio, è stata densa quanto dieci delle nostre. La fede in Dio è lo specchio attraverso cui percepisce di essere dalla parte del giusto nonostante le critiche, e mescolata a una discreta dose di follia, a una'altra altrettanto buona di sicurezza nei propri mezzi e a un'emotività esplosiva, ci dà Teo Gutierrez. Ci dà l'uomo che viene riempito di lodi e massacrato di critiche, ma che continua a cercare la felicità.
Poco dopo l'alterco col Chino, Teo prende le valigie e abbandona il Cilindro, ma riceve subito una seconda chance argentina, perché il Lanús ha bisogno di un attaccante di livello per avanzare nella fase a eliminazione diretta della Copa Libertadores. Arriva in prestito e segna un gol contro il Vasco da Gama, che però non basta ai Granate per evitare l'eliminazione. Un mese dopo la sconfitta, Teo non si presenta a un allenamento e prende un aereo per Barranquilla, formalmente per rispondere alla convocazione per un'amichevole della sua Nazionale. Unico dettaglio: quando José Pekerman dirama la lista dei convocati, il nome dell'attaccante non è pervenuto. La dirigenza del Lanús monta su tutte le furie e rescinde il contratto con un mese d'anticipo, chiudendo al più presto possibile il breve capitolo con l'ingestibile Teo.
Per la seconda volta in carriera, l'attaccante manda all'aria un contesto a beneficio di un aereo per Barranquilla, la panacea al male esistenziale che lo affligge quando si sente costretto a stare nel posto sbagliato.
Anche José Arcadio ha girovagato per il mondo, ma ha deciso di tornare a Macondo, nella casa dei Buendìa, tra i deliri del padre e le ossessioni delle sorelle. Quell'anno, il Junior gli offre un contratto importante per convincerlo a non comprare il biglietto di ritorno, almeno per quel semestre: Teo non ci pensa due volte e torna al Metropolitan, dove tutti lo adorano e lo accolgono con il calore che ha sempre cercato nelle sue fughe. Indossare ancora rojiblanco gli scalda il cuore, perché non ha mai dimenticato da dove viene e cosa lo ha reso ciò che è: Barranquilla gli ha lasciato addosso i segni del passato, come la tendenza a sudare molto dalle mani, che è il risultato delle notti a lavorare duramente in pescheria.
Sembra un idillio già scritto ma Teo non riesce a convertire questa allegria in reti: ne infila cinque in tutto il semestre, deludendo le aspettative della stampa colombiana, che torna a criticarlo duramente. Destino che tocca a chi non cerca mai di compiacere le penne. Al termine del semestre se ne va senza aver convinto, così come José Arcadio, cacciato di casa poco dopo il suo ritorno a Macondo per la sua scandalosa relazione con la sorellastra Rebeca.

Redenzione?

La carriera di Teo sembra essere giunta a un punto morto, nel quale si rende conto che la possibilità di redenzione può passare solo per la croce. Non quella di Cristo, ma quella di Città del Messico, perché il Cruz Azul gli offre la possibilità di rilanciarsi dopo un anno disastroso. I messicani scommettono su Teo e Teo scommette su sé stesso, promettendo grandi cose alla tifoseria della Maquina. Il campo lo premia con nove reti in 28 partite, ma la redenzione del barranquilleno è ancora molto lontana dal compiersi, perché qualcosa si rompe ugualmente. Teofilo Gutierrez inizia a puntare i piedi per andarsene dopo soli sei mesi, fiutando l'opportunità che sognava da una vita: il River Plate.
Teo è tifosissimo della Banda, fin da bambino, quando faceva compagnia al padre davanti alla televisione mentre giocavano i discendenti di un'altra Maquina, il River di Francescoli. La possibilità di vestire la camiseta dei Millonarios gli fa perdere completamente la testa, iniziando a rendere sempre più esplicito il proprio desiderio di partire. Con le spalle al muro, il Cruz Azul accetta l'offerta del River Plate e concede a Teofilo Gutierrez il suo sogno più grande.
Con indosso la maglia del suo amore, il colombiano infiamma il Monumental diventando l'uomo fondamentale del rivoluzionario scacchiere di Marcelo Gallardo, che conduce il River alla vittoria della Copa Sudamericana. E' il momento più alto della carriera di Teo, cullato dalla consapevolezza di essere indispensabile e dalle vittorie che sognava fin da piccolo, con la sua squadra del cuore. Nella sua esperienza al River Teofilo Gutierrez è semplicemente devastante e la notte di Copa Libertadores in cui i Millonarios riescono a schiacciare fuori casa il Cruzeiro per tre reti a zero, rimontando lo svantaggio dell'andata, se ne ha la prova definitiva: Teo gioca un match di un'altra categoria, da trascinatore tecnico, e insacca il gol che chiude i giochi. Tutto questo nel turno successivo al Superclasico col Boca, in cui si era fatto espellere: tutto Teofilo Gutierrez, folle e incontenibile. Talmente folle e incontenibile che nemmeno la prospettiva concreta di vincere la prima Libertadores della sua carriera lo trattiene al River. Con qualche credito nei confronti di Millonarios, decide di chiudere il conto in sospeso con l'Europa accettando l'offerta dello Sporting Club: a trent'anni compiuti, segna tanto, dimostra al Portogallo e al vecchio continente di essere una delle più grandi bombe inesplose del suo calcio e che il resto della sua carriera sarebbe stato un'incognita per lui, prima che per tutti gli altri. Infatti oggi, nell'estate 2016, tutto sembra apparecchiato perché torni in Argentina, nella piazza che più di tutte si presta ad amare visceralmente un giocatore come Teo Gutierrez, il Rosario Central. Tradizionalmente, quelli che a Rosario hanno un braciere al posto del cuore. Loro potranno capire fino in fondo un uomo che ha sempre espresso le proprie emozioni in maniera mastodontica, come quando ha preso a calci e pugni la bara di nonna Aura il giorno del suo funerale, prima di svenire per il dolore, ma sapranno anche amare un giocatore che ha sempre onorato il calcio con interpretazioni da campione, al netto dei suoi black-out. Per tornare in Argentina, mondo che lo ha amato ma mai risparmiato, ha scelto il giro largo, passando per i Giochi Olimpici di Rio, dove cercherà di cancellare il ricordo più recente di Teofilo Gutierrez in una grande competizione internazionale: i primi venti minuti di Argentina-Colombia, quarti di finale di Copa América 2015, in cui ha steccato ogni tocco prima di essere sostituito. Nel momento decisivo potrebbe farsi espellere o segnare una tripletta, ma qualsiasi cosa farà, la farà nello stile di Teo Gutierrez: seguendo il cuore e calciando forte in rete, sempre una spanna sopra la solitudine.


Immagine da: terceraplana.com