29 mar 2017

Vincere in Bolivia è difficile, non impossibile



Dopo l'ennesimo tracollo dell'Argentina il commento più diffuso, dopo gli insulti ad allenatore, giocatori e famiglie, riguarda le condizioni avverse che i giocatori hanno dovuto affrontare allo stadio Hernando Siles di La Paz. Stadio in cui si gioca dal 1931, quindi in teoria non esattamente una condizione a sorpresa.
La struttura in cui la Bolivia gioca le gare casalinghe comunque ha la particolarità di trovarsi a 3.600 metri sopra il livello del mare: giusto per dare riferimenti geografici nostrani, un'altezza che supera il Gran Sasso e la Marmolada, e sfiora il Monviso (3.842 m). Giocare a La Paz insomma è difficile, sicuramente. A quell'altitudine l'aria è rarefatta e questo porta delle conseguenze: il pallone a causa della minor resistenza viaggia più veloce e con effetti imprevedibili, mentre i giocatori si trovano con un'ossigenazione ridotta che causa chiari problemi di tenuta atletica.
Una circostanza che negli anni si è provata ad affrontare in diversi modi, da viaggi più lunghi per abituare il corpo a viaggi più corti per risentirne il meno possibile fino a combinazioni di farmaci per stimolare la circolazione (tra cui il viagra), con risultati altalenanti tanto da non avere ancora oggi una ricetta sicura.
Quello che è sicuro è che persino la Fifa è conscia del problema, tanto da aver posto a 3.000 m di altitudine il limite per partite internazionali già dal 2007. L'Hernando Siles "sopravvive" grazie a una deroga speciale, ma in ogni caso gli stadi alternativi boliviani sarebbero stati oltre i 2.500 m, quindi simili all'Olimpico Atahualpa dove gioca l'Ecuador (2.850 m) e al Campin di Bogotà che ospita la Colombia (2.640 m). Di simili problematiche affrontate in questi impianti però si parla molto, ma molto meno.

Il problema quindi esiste e dicevamo che i commenti circa la sconfitta per 2-0 dell'Argentina hanno spinto molto in questa direzione. Il commentatore di Sky Andrea Marinozzi, per dirne uno, ha più volte sottolineato l'impossibilità di giocare in modo degno in simili condizioni ambientali. Per quanto sia sicuramente problematico, forse è meglio mettere le cose nell'ottica corretta.

La Bolivia di sicuro in casa è molto più forte che in trasferta, tanto che tutte le vittorie della verde nelle ultime tre tornate delle qualificazioni sudamericane ai Mondiali (2010, 2014 e 2018) sono arrivate tra le mura amiche, ma il livello resta comunque basso (forse drammaticamente visto che fuori casa non vincono da 53 partite) anche limitandoci all'ambito sudamericano. Tutti i giocatori convocati giocano in patria (e questo non fornisce grossi vantaggi al di là dell'abitudine all'altitudine) tranne 5, di cui solo uno in Europa, nel Göteborg. Il giocatore più rappresentativo nonché secondo miglior marcatore di tutti i tempi della Bolivia con 15 gol, è Marcelo Moreno Martins, che a 30 anni da compiere si disimpegna nel Wuhan Zhuoer Zhiye Zuqiu Julebu, in Serie B cinese. Nella sua esperienza europea a inizio carriera (Shakhtar, Werder Brema e Wigan) ha messo insieme 10 gol in 46 presenze in tutte le competizioni. Nulla a che vedere col livello medio della selezione argentina, forse nemmeno limitando la scelta agli elementi più giovani.
A migliorare le cose non concorre la gestione della federazione. La FBF infatti si è resa più volte protagonista di scelte assurde e si è distinta per la capacità di scelta degli allenatori, come potete sentire qui al minuto 47.
La Paz comunque, per quanto sia il terreno preferito della Bolivia, non è un fortino inespugnabile. A fronte delle 9 vittorie (più una derubricata a causa di una convocazione irregolare) dal 2007 ad oggi ci sono 7 pareggi e 6 sconfitte (più la vittoria ribaltata della parentesi precedente). Un bilancio positivo, ma che lascia margini di speranza agli ospiti. Evidentemente non all'Argentina, che non ci vince dal 2005 e ha vissuto la sconfitta storica del 6-1 datata 2009, con Maradona in panchina.

14 mar 2017

Lanús – River Plate, 4 febbraio 2017

Scritto da @HaRagioneNonno

Nel calcio succede, a volte, che Davide sconfigga Golia, proprio come nella leggenda biblica. Succede anche che, se Golia è il River Plate di Buenos Aires, la vittoria di Davide appaia ancora piú sorprendente. Bisogna peró essere onesti e dire che il Lanús non è più una squadra piccola del campionato argentino e del panorama sudamericano in generale. Dopo parecchi decenni passati nelle categorie minori, una volta raggiunta la Primera División, il Lanús ci è rimasto costantemente. Negli ultimi anni, poi, ha vinto quasi tutte le competizioni in cui ha giocato. Basta andarsi a vedere il palmarés per vedere la crescita impressionante di questo club di quartiere che ormai è diventato grande.

 Da qualche tempo a questa parte un gruppo di tifosi del Lanús mi ha praticamente adottato e mi porta a vedere tutte le partite. Era quindi impossibile rifiutare l’invito ad andare a vedere la finale della Supercopa Argentina, che si è giocata nel bellissimo stadio di La Plata.
Dopo aver accettato l’invito, ovviamente, nella settimana precedente alla partita, ho vissuto con fremente attesa il giorno dell’incontro. Il mio amico Gastón, tifosissimo del Lanús (e anche del Toro) ha voluto passare la giornata con me, e ho così potuto vivere pienamente l’atmosfera.
Partiamo in macchina da Buenos Aires a metà pomeriggio, passiamo a prendere un altro amico, e affrontiamo il viaggio verso La Plata, a una sessantina di chilometri dal centro della capitale. Il viaggio è carico di tensione, i ragazzi parlano delle altre finali, fanno i loro scongiuri, e percepisco che abbiano un po' di timore verso il River Plate. O forse è solo verso la storia del River Plate. La realtà di questi anni dice che anche il Lanús ha vinto tanto. Inizio a rendermi conto che vedrò una grande partita.

Arriviamo nei pressi dello stadio e dopo aver parcheggiato ci dirigiamo verso l’ingresso. Le stradine nei dintorni dello stadio sono già piene di gente granate che sta iniziando la sua festa. Quello che mi ha sempre colpito delle tifoserie argentine è il livello di festa che riescono a mettere in piedi in ogni situazione. Si nota davvero che per loro quei momenti sono magici. La loro squadra li rappresenta. È una comunione di persone che provengono quasi tutte dallo stesso quartiere, che sono cresciute insieme nel loro stadio. Che hanno vissuto momenti brutti, e che ora, quindi, si godono quelli belli con una gioia invidiabile. Si aprono i cancelli ed entriamo.

Lo stadio è diviso esattamente in due. Il nostro settore si va riempiendo velocemente. Più lentamente, invece, si riempie quello dedicato ai tifosi del River Plate. La tensione sale, e iniziano i cori da parte nostra. Sono circondato dal colore che amo e la cosa mi fa sentire a mio agio. Il settore continua a riempirsi velocemente e ben presto mi trovo in mezzo ad una vera e propria moltitudine di persone. L’arrivo della barrabrava è uno dei momenti più emozionanti. Tamburi, trombe e tanta gente. Sono il gruppo piú numeroso di tifosi. Quello organizzato. Scendono tutti insieme in mezzo al resto del pubblico e prendono posto in mezzo alla curva. La Barra 14 è il gruppo organizzato dei tifosi del Lanús. Colore e canzoni a non finire.
Nel frattempo la barra del River, Los Borrachos del Tablón, tarda ad arrivare. Il loro settore, invece, si sta ora riempiendo all’inverosimile. Riempiono anche i due settori laterali a loro dedicati. Noi siamo sicuramente meno dal punto di vista numerico, ma la battaglia di cori prima della partita è davvero emozionante. Le squadre escono per il riscaldamento e le due tifoserie esplodono di gioia. Passano vari minuti e la tensione a questo punto è alle stelle.


Come dicevo, il tifo del Lanús è un tifo ben delineato. Quello del River Plate è invece difficile da definire. Essendo uno dei club più grandi del mondo, il suo tifo è trasversale. Nel frattempo si scatena un temporale di proporzioni bibliche, per rimanere in tema. Una pioggia incessante che rende, se possibile, ancora piú mistico il momento. Sicuramente, almeno per me, mistico lo è davvero. Le squadre scendono in campo appena dopo l’arrivo della barra del River, che ora canta in maniera incessante. Non me ne vogliano gli amici del Lanús, però è un momento magico. Credo di non aver mai visto, dal vivo, un tifo del genere. Quelli del River cantano in maniera incredibile ed è difficile, per noi, farci sentire. Vista la grande amicizia che lega il Toro e il River Plate devo dire che mi sento comunque a casa. Da un lato il colore granate, per cui oggi farò il tifo. Dall’altra parte il River, squadra a cui voglio bene e che rispetto tantissimo.

Il primo tempo della partita è ricco di occasioni per il Lanús, che si mangia due gol proprio sotto il nostro settore. Lo spettacolo delle tribune è altrettanto bello. Noi non smettiamo mai di cantare e altrettanto fanno loro. Il tempo scorre veloce e finisce il primo tempo. Finalmente un attimo di pausa. La gente si guarda perplessa. Un primo tempo molto ben giocato contro un River che non smette un attimo di pressare. Due gol falliti. La scaramanzia comincia a prendere piede. Il secondo tempo comincia e ora i tifosi del River fanno impressione. Cantano e saltano senza tregua. 25.000 persone circa che non mollano un momento. Il Lanús, però, non smette di giocare e si avvicina alla porta. Al 25’ minuto, poi, Lautaro “Laucha” Acosta, uno dei massimi idoli del granate, insacca il pallone con una sassata da dentro l’area di rigore. È il delirio. Da quel momento in poi è un monologo granate.
Arrivano il secondo ed il terzo gol e ormai il risultato è in cassaforte.

Come spesso accade in Argentina, la tifoseria della squadra che perde non ci sta. Quelli del River, adesso, si alzano tutti in piedi e cantano i loro cori piú forte di prima. Innalzano i loro colori e non mollano un secondo. Noi facciamo davvero fatica a farci sentire, nonostante il Lanús stia dominando la partita e abbia praticamente vinto la Supercopa e, di conseguenza, la sua sesta stella. Va in scena uno spettacolo meraviglioso. Due tifoserie che gridano con orgoglio e passione, con amore ai loro colori e per onorare uno sport. Per onorare lo sport piú bello del mondo. Perché anche se il terreno di gioco non è perfetto, anche se in campo non ci sono gli idoli palestrati del calcio da Playstation, o forse proprio per questo, lo spettacolo di oggi assume i contorni dell’autenticità. Qull’autenticità che tanto si va perdendo in altri posti.

Finisce la partita e noi esplodiamo di gioia. La gente si abbraccia e canta. Il trofeo andrà a Lanús e il miracolo di questa società continua. Mentre i giocatori vengono sotto la curva a festeggiare, dall’altra parte dello stadio nessuno se ne va. È festa anche fra chi ha perso, oggi. Per me è un’emozione enorme. Come dico sempre, di questo si tratta il calcio. Di questi momenti e di queste sensazioni. In fretta e furia viene organizzata la premiazione e i giocatori portano la coppa sotto il settore. Passano vari minuti e la festa continua. Ora sì il settore del River si svuota, mentre noi dobbiamo attendere dentro lo stadio. Ricomincia il diluvio mentre attendiamo di uscire. Poco importa se ci bagneremo, se dovremo camminare vari isolati sotto la pioggia per tornare alla macchina. Siamo felici e va bene così. Finalmente ci lasciano uscire e un fiume di gente si riversa nelle vie circostanti.

Il ritorno in macchina è una lunga carovana di auto e pullmini con bandiere granata ai finestrini. Attraversiamo vari quartieri e partono i cori verso la squadra di turno. Arriviamo a Lanús che sono ormai le 2 del mattino. La piazza della stazione è piena di tifosi che festeggiano e, come di rito, mi portano a mangiare in una pizzeria della stazione. È un covo storico di tifosi e ritrovo per il dopopartita.
Ancora una volta ho avuto la fortuna di vivere un giorno indimenticabile. Una bella partita, la vittoria di una coppa, due tifoserie magnifiche. Posso andare a dormire contento, sperando che presto mi possa ricapitare un giorno così.